Perché i nani non diventano CEO?
Giorgio del Mare, uno degli indiscussi maestri del Cultural change in Italia, mi ha insegnato a guardare la comunità aziendale con una prospettiva diversa rispetto agli angoli, numerosi, dai quali l’avevo guardata da sempre. L’orientamento della fabbrica al cliente, lo spostamento di fattori apparentemente minuscoli, la semplificazione del lavoro sulla cultura e sugli stili erano il senso poderoso del suo intervento sulle tante, tantissime aziende che lo avevano interpellato. La fruibilità di princìpi complessi da parte di gruppi di dipendenti con minore formazione professionale denota intelligenza e capacità di lettura dei grandi fenomeni.
La legacy di Giorgio sopravviverà lungamente in chi ha avuto la fortuna di vederlo, o anche solo di ascoltarlo, in azione. Nei suoi eredi rimane il marchio indelebile, lo stile elegante e la sintesi bruciante, mai scontata, mai banale. Nella prosa del libro Perchè i nani non diventano CEO e altre sette tossicità aziendali, a breve in uscita con ESTE, si ritrova il suo spirito. E vi arriva attraverso due dei suoi colleghi più affezionati, Gabriele Ghini e Alessandra Fogola.
Il libro si colloca in un momento particolare dell’evoluzione delle relazioni industriali. La classe operaia non esiste più. Non c’è più contrapposizione tra l’imprenditore che guida e il gruppo di professionisti che, con diverse abilità, incrementa il valore generato dall’azienda. La trasformazione digitale dei processi rende il lavoro possibile anche da remoto, rispetto a linee che erano faticose e rumorose, valorizzando le competenze, più che l’obbedienza e la disciplina. Il nuovo assetto delle relazioni industriali e il nuovo benessere che si respira all’interno dell’impresa moderna consentono di applicare modelli organizzativi rivoluzionari.
Oggi l’impresa diventa a pieno titolo il motore dello sviluppo sociale dei propri territori e ne rappresenta sempre di più l’ancoraggio valoriale. La responsabilità sociale dell’imprenditore e dei Top manager cresce giocoforza, rendendo più evidente questo ruolo, che rileva il testimone dalle parrocchie e dai circoli degli Anni 60, dando nuova luce a territori i quali, in termini culturali, sono stati abbandonati a se stessi.
In questo nuovo contesto, l’impresa crea consapevolezze diverse su ruoli, percorsi di crescita e formazione. Occupa un ruolo nel consentire una genitorialità serena ai propri dipendenti, nell’accogliere ogni diversità, nel promuovere arte e cultura. Ogni provincia italiana può contare su un numero elevato di imprese virtuose e noi ci auguriamo che l’esempio da loro rappresentato, come i temi trattati nel libro, contribuisca a costruire un ecosistema migliore per tutti.
In questo nuovo sistema assume rilevanza diversa la funzione aziendale delle Risorse Umane, che nasce storicamente per comporre le trattative sindacali. Nei decenni che hanno preceduto la fine del secolo scorso, la funzione ha assunto un ruolo strategico. La mobilizzazione degli asset invisibili, l’over extension, la rotazione, l’imprenditorialità diffusa, la terziarizzazione delle attività non core, la gestione di filiere globalizzate e il reshoring hanno rappresentato un terreno di misura del successo della funzione.
I primi 20 anni del nuovo millennio, invece, hanno completamente oscurato l’importanza strategica della funzione Risorse Umane. Sono state prima attribuite alle funzioni operative, poi sintetizzate in qualche ruolo di supporto dei servizi centrali. Erano gli anni della trasformazione culturale che avrebbe investito le organizzazioni dal 2020 in avanti. Oggi, in condizioni che progressivamente raggiungono la piena occupazione in moltissimi Paesi occidentali, la competizione si sposta sulla capacità di attrarre talenti. E questa è figlia della cultura dell’impresa, della qualità dei sogni che promette, dell’insieme dei percorsi di sviluppo professionale e di vita che permette, ma soprattutto del clima che comunica ai propri dipendenti. Un’azienda inclusiva, con attenzione reale alla Diversity, capace di ispirare persone formate e motivate, nella quale tutti si sentano a casa, che sappia ascoltare e valorizzare tutti i propri occupati, che riesce a migliorare la qualità della vita per i propri lavoratori ben oltre le condizioni economiche. In questo lavoro, ricercare il fit perfetto tra candidato e azienda è un’arte. Nel nuovo libro di Ghini e Fogola, il lavoro del cercatore di talenti è descritto con realismo e competenza. Una lettura indispensabile per gli imprenditori e per le Direzioni del Personale.