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Perché i nani non diventano CEO?

È come uno squarcio al velo di Maya di Arthur Schopenhauer. Sembra riprendere la metafora del filosofo del velo che nasconde la realtà, il libro Perché i nani non diventano CEO e altre 7 tossicità aziendali (ESTE, 2024). A scriverlo sono Gabriele Ghini, Managing Director di Transearch Italia, azienda che offre servizi inerenti alle Risorse Umane dall’head hunting alla consulenza di leadership, e Alessandra Fogola, International Senior Partner di Transearch (l’introduzione è di Luigi Consiglio, Presidente di Eccellenza di impresa, società di consulenza strategica).

Il libro si propone, infatti, di mostrare le tossicità aziendali per riflettere sui pregiudizi che ancora la popolano e stimolare un approccio culturale più rispettoso nei confronti delle diversità, anche quelle meno di ‘tendenza’. “Quando in una qualunque riunione si comincia a parlare di diversity (o, ancora peggio, di diversità e inclusione), metà della stanza spera che l’agonia finisca in fretta e l’altra metà comincia a compulsare il cellulare. È chiaro il perché: la diversity è vista come una moda imposta dalla società nel suo complesso, alla quale ci si deve uniformare con meno danno e spesa possibili”, è il messaggio introduttivo degli autori.

Tra le diversità si cui si parla meno rientrano i nani, ripresi nel titolo, che non sono considerati come candidati papabili nella selezione HR in quanto, inconsciamente, si tende ad attribuire all’altezza maggiore tolleranza del rischio, talento, sicurezza e competenza. A essere preferite nell’assunzione sono, quindi, le persone alte: “Una volta assunte, queste hanno maggiori probabilità di essere promosse e di avanzare rapidamente nella loro carriera. E ulteriori studi dimostrano che raggiungono livelli salariali superiori rispetto alle persone basse”, spiegano gli autori. La tendenza è così diffusa, come riporta il libro, che il 60% dei CEO maschi americani è alto circa 183 centimetri (in media l’intera popolazione maschile che supera questa altezza è appena del 15%).

Ascoltare gli altri richiede allenamento

La tossicità legata ai pregiudizi fisici è solo una di quelle analizzate nel libro, in quanto gli autori si soffermano su diversi aspetti che toccano l’organizzazione aziendale. Per esempio, la caduta della motivazione e come gestire lo scontento all’interno dell’azienda, ma anche come si può ridefinire la leadership stessa in una ottica di condivisione. Come recita il titolo della seconda tossicità il percorso che si deve compiere è “dal Superman al Superteam”.

Oltre ai processi di selezione che riportano bias, anche gli atteggiamenti quotidiani in azienda sono impregnati di tossicità, per esempio l’incapacità o la non volontà ad ascoltare. Le motivazioni possono essere varie, come giudicare poco interessante la conversazione o la persona, intuire che l’altra persona appartiene a culture diverse oppure desiderare parlare più che rimanere in silenzio. Ascoltare, però, è necessario soprattutto di fronte a una complessità crescente, anche in termini di organizzazione del lavoro a distanza. “Ascoltare non è un lavoro facile, richiede consapevolezza, volontà e allenamento. È un’esperienza intensa, robusta, emotivamente coinvolgente, che in qualche modo ci insegna ad ascoltare noi stessi. E, proprio perché difficile, è ciò che fa la differenza nelle relazioni e quindi un elemento strategico per le aziende”, riflettono Ghini e Fogola.

Altro valore analizzato nel libro è l’importanza del concetto di sicurezza psicologica, intesa come la sicurezza condivisa nel gruppo di lavoro a correre rischi ed esprimersi liberamente. Questa attenzione che deve dimostrare l’azienda è emersa soprattutto nel 2020 quando i manager hanno dovuto gestire persone a distanza sottoposte ad alti livelli di ansia. Il percorso per garantire un ambiente di lavoro armonioso non è soltanto ‘filantropico’, ma, come analizzano gli autori anche economico, perché garantisce maggiore produttività e performance aziendale.

La nuova categoria di persone sono i Perennial

A garantire maggiori risultati positivi è anche l’analisi della propria organizzazione, in particolare la presa di coscienza di una nuova categoria di persone: i Perennial. Non si tratta di una categoria generazionale: sono persone di ogni età sempre curiose e aperte ad apprendere (il termine rimanda a “perenni”). Sono soggetti consapevoli che il percorso di carriera non è (più) lineare, ma incerto, anche dovuto all’emergere di nuove tecnologie, come l’Intelligenza Artificiale (AI), che stanno impattando sul modo di lavorare, per questo ritengono che aggiornarsi è l’unico modo per sopravvivere. “I Perennial ci mostrano ogni giorno che l’unico modo per continuare a crescere è mantenere una continua tensione alla nostra crescita personale e la capacità di osservazione che ci consenta di cogliere le opportunità, ovunque esse siano”, scrivono Ghini e Fogola. Inoltre, visto che il percorso di carriera non è lineare, gli autori invitano a prendere consapevolezza che il “licenziamento è una certezza”, perché l’azienda può fallire oppure dover ridurre il personale, con molta più probabilità rispetto al passato.

Ma niente paura, perché Ghini e Fogola non vogliono ‘spaventare’ il lettore, bensì aiutarlo a orientarsi in queste nuove dinamiche lavorative. Ecco allora che propongono consigli su come promuovere uno sviluppo personale, creare un personal brand e gestire le emozioni. “Diamoci una visione e un obiettivo che vogliamo raggiungere. Definiamo il percorso che dobbiamo fare, le competenze che dobbiamo acquisire e impegniamoci per farle diventare parte del nostro bagaglio”, è appunto il messaggio rivolto a tutti i manager.

benessere, CEO, nani, tossicità


Alessia Stucchi

Alessia Stucchi

Alessia Stucchi è giornalista pubblicista. Laureata in Lettere Moderne in triennale e in Sviluppo Economico e Relazioni Internazionali in magistrale. Nel 2023 ha vinto il Premio America Giovani della Fondazione Italia Usa che le ha permesso di conseguire il master Leadership per le relazioni internazionali e il made in Italy. Nel tempo libero si dedica alle camminate, alla lettura e alle serie tivù in costume.

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