Perfezione non fa rima con performance
Il perfezionismo sul lavoro è un fenomeno che sta diventando sempre di più diffuso, impattando in modo negativo sulle performance lavorative. Secondo uno studio dell’American Psychological Association, che ha studiato il comportamento di giovani adulti in Usa, Regno Unito e Canada, questa modalità di comportamento è cresciuta di oltre il 32% negli ultimi 30 anni. Molti personaggi famosi, come la campionessa di tennis Serena Williams e la prima ballerina Karen Kain, hanno parlato delle insidie di questo disturbo che porta a sentirsi sempre insoddisfatti nonostante i grandi successi raggiunti.
Questo trend – come scritto in un approfondimento sull’Harvard Business Review – risulta particolarmente preoccupante secondo i ricercatori, che sottolineano come tendere alla perfezione sul lavoro impatti in modo negativo sia sulla gestione dell’equilibrio tra vita lavorativa e privata sia sulle performance lavorative e sociali. Un approccio che le aziende dovrebbero favorire, è invece quello di dare alle persone lo spazio e il tempo di migliorare secondo i propri ritmi, senza imporre standard troppo alti da raggiungere.
Il desiderio di essere impeccabili genera insoddisfazione
Ma quali sono le caratteristiche principali del ‘perfezionismo’? La caratteristica distintiva di questo tipo di comportamento è la compresenza del bisogno irrazionale di essere sempre impeccabili e con una perenne insoddisfazione per i risultati raggiunti. Questo atteggiamento, anziché spronare a essere performanti sul lavoro, spesso è penalizzante: sempre più studi mostrano, infatti, che puntare sempre a essere perfetti ostacola la capacità di trovare un significato al proprio lavoro e di avere un equilibrio armonico tra sfera professionale e privata.
Per cercare di contrastare questo modo di approcciarsi al lavoro si possono adottare una serie di strategie mirate. Tra queste c’è l’individuazione di obiettivi raggiungibili, ma anche la promozione di un clima di lavoro collaborativo ed efficiente tra i dipendenti. I piccoli successi ottenuti con obiettivi meno ambiziosi possono essere valorizzati come input per affrontare sfide sempre più importanti. Un altro punto centrale è la valorizzazione degli errori: riconoscere un fallimento come parte del processo di raggiungimento di un risultato, senza evitarlo in modo ossessivo, spinge le persone a considerare gli errori come stimolo da cui ripartire per migliorare e non limita la creatività nel proporre soluzioni a un problema.