Primo Maggio, non c’è (buon) lavoro senza parità
Ogni Primo Maggio celebriamo il lavoro, ma continuiamo a ignorare una verità scomoda che, puntualmente, ridimensiona le nostre aspettative sulla qualità del lavoro in Italia: a parità di ruolo, competenze e responsabilità, non tutte le persone vengono retribuite allo stesso modo. Il divario salariale persiste, alimentato da disuguaglianze strutturali che colpiscono soprattutto chi, per ragioni di sesso, età o etnia, viene discriminato sul mercato. La nuova Direttiva europea sulla trasparenza retributiva segna un passo avanti, ma da sola non basta. Perché non può esserci buon lavoro senza parità: salariale, di accesso, di riconoscimento. E questa resta una sfida ancora aperta.
Di seguito pubblichiamo un estratto dell’articolo di Antonella Del Greco e Giampiero Falasca (DLA Piper) dal titolo “Retribuzioni trasparenti”, pubblicato sul numero di Maggio 2025 di Persone&Conoscenze
Nonostante i progressi compiuti negli ultimi anni, il divario retributivo di genere nell’Unione europea è ancora una realtà significativa. La strategia dell’Ue per la parità di genere 2020-25 rappresenta il quadro di riferimento per le politiche comunitarie in materia di uguaglianza di genere, ponendo tra le sue priorità la trasparenza retributiva come strumento chiave per colmare il divario. Questo principio trova un fondamento giuridico nell’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, che impone agli Stati membri di garantire la parità di retribuzione per lo stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
A rafforzare questa tutela è intervenuta la Direttiva Ue 2023/970, che introduce nuovi obblighi per i datori di lavoro con l’obiettivo di ridurre il persistente divario salariale di genere, attraverso la promozione di una maggiore trasparenza nelle politiche retributive. La Direttiva, infatti, mira a fornire ai dipendenti gli strumenti per verificare l’esistenza di disparità retributive basate sul genere e comprendere se queste siano o meno frutto di una discriminazione. Benché la Direttiva debba essere recepita dagli Stati membri entro il 7 giugno 2026, è fondamentale che le aziende inizino sin da ora a prepararsi agli obblighi con cui devono confrontarsi. Si tratta, infatti, di disposizioni complesse, che richiedono un’attenta valutazione preliminare e l’adozione di strategie mirate, frutto di una riflessione approfondita da parte degli addetti ai lavori.
Anche perché la Direttiva prevede sanzioni (le multe e le misure correttive possono essere significative) per il mancato rispetto degli obblighi di trasparenza salariale. La mancanza di trasparenza, inoltre, potrebbe danneggiare la reputazione aziendale, riducendo l’attrattiva per i talenti e minando i rapporti con i dipendenti. In caso di violazione dell’obbligo di parità retributiva, è importante sapere che i lavoratori avranno diritto a ricevere eventuali differenze salariali arretrate oltre che a pretendere un risarcimento. Ogni Stato membro può adottare norme ancora più rigide, ma l’anticipazione di un processo di analisi interna e di adozione di procedure adeguate consente alle aziende di affrontare con maggiore sicurezza le sfide future, trasformando il cambiamento normativo in un’opportunità per migliorare la cultura aziendale, attrarre talenti e rafforzare la propria reputazione di datore di lavoro equo e trasparente.
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