Private equity e Private debt: i vantaggi della società partecipata

Nel post covid molte aziende necessitano di aiuti esterni per svilupparsi. Un valido aiuto è il Private capital.

Stiamo affrontando una recessione profonda che avrà effetti lunghi. Non per tutti i settori e le imprese avrà la stessa intensità. Se Governo e banche faranno la loro parte, nel periodo post covid-19 si apriranno per le aziende numerose opportunità per ripartire, ma non basta. Lo scenario economico è profondamente mutato e risolvere il momentaneo problema di liquidità non è sufficiente.

Si deve fare una riflessione più profonda, riprendere in mano i piani industriali e ripensare il proprio business: catene logistiche, distribuzione, strutture produttive, gestione delle Risorse Umane, mercati e segmenti di clientela di riferimento, sostenibilità, digitalizzazione dei processi… il mondo è cambiato, o forse abbiamo l’occasione per cambiarlo. Questo implica una forte necessità di investimento. Se si avrà la forza di investire si costruirà un’industria più attuale e resistente di prima.

Bisogna, quindi, accedere a capitali permanenti, di rischio e di debito, di medio-lungo termine. Il decreto Rilancio prevede sostegno pubblico anche in tema di ricapitalizzazioni, ma la storia ci insegna che bisogna innanzitutto far funzionare i mercati privati dei capitali. La capacità di selezione degli investitori privati e l’allineamento degli interessi sul comune obiettivo di sviluppo fanno sì che si possano fare dei salti di qualità importanti.

Per le imprese non quotate si apriranno occasioni di incontro con i fondi di Private capital. Diverse sono le loro modalità di intervento, che rispondono a esigenze differenti delle aziende. Focalizzandoci su quelle medie e piccole già esistenti e consolidate e lasciando da parte, ai fini di questo approfondimento, il tema che riguarda il finanziamento delle startup e l’attività dei fondi di Venture capital, concentriamoci sui fondi di Private equity e di Private debt.

I vantaggi del Private capital

In generale, l’ingresso in azienda di fondi di Private capital può aiutare i processi di managerializzazione, internazionalizzazione e aggregazione tra le Piccole e medie imprese. Per comprendere meglio la loro attività conviene però spiegare in modo più approfondito chi sono e cosa fanno questi soggetti. Un operatore di Private equity investe capitale di rischio, quindi compra azioni, con un orizzonte temporale di permanenza nell’impresa partecipata di medio-lungo periodo, circa cinque anni; è un investitore paziente, ben diverso da un fondo che opera sui mercati quotati in ottica di trading.

Con questa visuale, l’investitore può seguire, strutturare e aiutare imprenditori e manager a far crescere l’azienda nella quale ha investito capitale e dove quindi spende le sue energie professionali a supporto della realizzazione del piano industriale. Infatti, se l’azienda cresce, si valorizza e quindi quando il Private equiter deciderà di uscire dall’investimento, potrà realizzare un maggior capital gain.

Per questo, come dicevamo sopra, si parla di allineamento di interessi con gli altri azionisti e i manager, attorno al comune obiettivo di sviluppo. Un fondo di Private debt, invece, attraverso la sottoscrizione di emissioni di obbligazioni o di linee di credito, fornisce capitale di debito a imprese anche in questo caso non quotate, fornendo un finanziamento ritagliato su misura, per struttura e condizioni, sulle esigenze che emergono dal piano industriale.

Tornando al Private equity, si diceva che tali investitori acquistano partecipazioni nel capitale di rischio di imprese non quotate. Possono essere soci di minoranza qualificata (normalmente con una quota tra il 20-40%) o di maggioranza della società. Le modalità di intervento sono molteplici. La principale distinzione è tra operazioni in cui il fondo entra in aumento di capitale, acquisendo una partecipazione solitamente minoritaria e affiancando l’imprenditore che ha richiesto tale supporto, chiamate di Expansion (capitale per lo sviluppo), oppure operazioni in cui il fondo acquisisce una partecipazione da uno o più azionisti che hanno deciso di vendere la totalità o una quota significativa della loro impresa. In questo caso parliamo di Buy out.

Con questo metodo, a fianco degli operatori finanziari sono fondamentali i manager, che partecipano all’operazione entrando nel capitale a fianco dei fondi e rappresentando così la nuova imprenditorialità. Questo è il motivo per cui vengono chiamate operazioni di Management Buy out, in cui i manager possono essere già operativi all’interno dell’impresa oggetto di acquisizione oppure essere scelti all’esterno.

Diverse sono quindi le motivazioni che spingono un imprenditore a valutare un’operazione di Private equity, che vanno dalla necessità di trovare un partner per lo sviluppo a quella di trovare un acquirente in grado di dare continuità, potenziandolo, al business e al nome dell’azienda, a differenza di un acquirente industriale, che può avere finalità differenti. L’obiettivo dell’operatore di Private equity quindi è di sostenere la creazione di valore dell’impresa partecipata sia attraverso la crescita, spesso internazionale, sia con il miglioramento dei sistemi di gestione interni.

L’operatore non dev’essere visto come un invasore che si appropria dell’azienda, ma come un socio temporaneo, interessato a sviluppare e supportare un piano di crescita per l’impresa. Trascorso quindi il tempo necessario per un’adeguata creazione di valore, la partecipazione dell’operatore di Private equity viene ceduta, attraverso un processo di disinvestimento. Di questo, che in gergo tecnico viene chiamato Way out, come la quotazione in Borsa della società, sono percorribili diverse forme: la cessione della partecipazione a un socio di natura industriale; la vendita a un altro operatore di Private equity; il riacquisto della partecipazione da parte del socio di maggioranza.

Trovare il giusto socio

Ma come si trova il fondo giusto e come si sviluppa la relazione? Innanzitutto, può essere di aiuto consultare il portale dell’Associazione di categoria (Aifi, associazione italiana del Private equity, Venture capital e Private debt) in cui si trova l’elenco dei soci e la descrizione della loro attività prevalente.

Infatti, non sono tutti uguali: alcuni operatori fanno operazioni solo di sviluppo o solo di Buy out, altri sono specializzati per settore, alcuni si dedicano a operazioni dimensionalmente minori, altri fanno solo grandi operazioni; vi sono poi specialisti del Venture capital e del turnaround. Insomma, è importante trovare l’interlocutore giusto.

Attraverso un percorso che abbiamo chiamato K4G, che significa Key for growth (chiave per lo sviluppo), dedicato proprio alle PMI, si trovano approfondimenti – operazione per operazione – e anche video pillole in cui sono riportate alcune esperienze significative di investimento in impresa.

Una volta individuato uno più interlocutori ci si presenta, talvolta si può essere introdotti da un intermediario che può essere un operatore specializzato in M&A e la prima cosa che viene chiesta è avere un business plan, cioè un piano nel quale si presenta l’azienda, il suo posizionamento di settore, il suo mercato di riferimento, la sua struttura organizzativa e produttiva, e soprattutto i suoi conti. Da lì si parte con il processo che viene chiamato due diligence, svolto spesso con il supporto di consulenti, dove si vanno ad approfondire tutti questi aspetti.

È un passaggio fondamentale perché si tratta di diventare soci e quindi di creare un rapporto stabile e di reciproca soddisfazione per un lungo periodo. Superato questo vaglio si avviano le trattative, che vanno in parallelo alle ultime verifiche, fiscali e legali, necessarie per finalizzare l’operazione. Se tutto questo va nel segno di un reciproco e positivo riscontro, le parti procedono alla valutazione dell’azienda. Si negozia il prezzo e soprattutto le condizioni di governance.

Nel caso in cui il fondo entri in minoranza, infatti, chiederà di avere comunque dei posti e dei diritti all’interno degli organi decisionali e un ruolo centrale nelle decisioni strategiche. Nei casi in cui il fondo acquisisca la maggioranza, sarà invece fondamentale avere un pieno allineamento di interessi con i manager che andranno a gestire l’impresa.

Infatti, è sempre comunque un partner finanziario e quindi non sarà il gestore. La conduzione dell’azienda resta in capo a imprenditori e manager. Una volta acquistato il pacchetto di azioni incomincia il lavoro vero, cioè la creazione di valore nel nostro target.

Nel Private debt le prime fasi sono assolutamente simili, però l’operazione si va a concludere con un contratto di finanziamento o la sottoscrizione di un’emissione obbligazionaria.

I dati del Private capital

Il mercato odierno del Private equity in Italia è ben strutturato anche se dovrebbe essere molto più grande per poter contribuire maggiormente alla crescita dell’economia reale. Guardando i dati del 2019, nel nostro Paese, sono stati investiti 7,2 miliardi di euro in 370 operazioni. In Europa, nel 2019, sono stati investiti 109 miliardi di euro, investiti in quasi 8mila operazioni. Il potenziale quindi per il nostro Paese è ancora molto elevato. Tornando all’Italia, abbiamo visto operazioni in tutti i settori, tradizionali e non, ma in ogni caso in tutte le imprese si cerca un potenziale innovativo e lo si incoraggia.

A livello geografico la Lombardia resta la regione che ha chiuso – storicamente e anche nell’ultimo anno – la gran parte delle operazioni con il 41% del numero degli investimenti nazionali, seguita da Emilia Romagna (12%) e Veneto (9%). In termini di ammontare è sempre il Nord a essere più rappresentativo avendo attratto, nel 2019, il 78% delle risorse complessivamente investite in Italia (l’83% nel 2018), seguito dalle regioni del Centro, Sud e isole.

Il mercato del Private debt ha invece raggiunto, lo scorso anno, 250 aziende, fornendo nuova finanza per 1,3 miliardi di euro. Anche in questo caso con un’elevata concentrazione nel Nord Italia (71%). È evidente che si può fare ancora molto e speriamo che questo nuovo mondo dia un’opportunità di crescita al settore del Private capital e alle aziende che sono il grande motore del nostro Paese. In questo senso può fornire una grande spinta la possibilità di attrarre anche il risparmio privato qualificato, a fianco di quello istituzionale, favorito dagli incentivi fiscali previsti nel recente decreto Rilancio.

L’articolo è pubblicato nella sezione Scenari Macroeconomici del numero di Luglio-Agosto 2020 di Sistemi&Impresa.
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Anna Gervasoni

Direttore Generale di Aifi, Associazione italiana del Private equity, Venture capital e Private debt.


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