Produttività e sicurezza nella connected factory evoluta
L’evoluzione ha successo se condivisa. Si potrebbe riassumere così la decisione di Gruppo Filippetti (Global System Integrator multidisciplinare con 45 anni di storia alle spalle), affiancato da Cisco (leader mondiale nei settori del networking e IT), di condividere un importante sviluppo della strategia nella direzione di una full Digital transformation, con una visione multidisciplinare sull’intero ecosistema digitale.
Una vera a propria rivoluzione, quella proposta alle aziende, in grado di aumentare la sicurezza dei luoghi fisici e digitali, la produttività, ma anche la collaborazione tra imprese.
Il punto di partenza è la raccolta e l’analisi dei dati. Dopo aver ascoltato le necessità delle aziende e aver studiato lo ‘stato dell’arte’, si possono progettare soluzioni ai problemi rilevati e implementare progetti migliorativi. Dunque, il digitale non va confuso con qualcosa di immateriale: non si tratta di mera astrazione, ma di azioni che hanno risvolti estremamente concreti sulla vita e sul business delle imprese.
Per raccogliere i dati, il primo step consiste nel dotare di sensori i macchinari, gli strumenti, gli accessori, anche i dispositivi di sicurezza utilizzati da persone fisiche. Chiaramente, i dati raccolti sono tantissimi, dunque occorre effettuare un’analisi aggregata delle informazioni, tramite programmi appositi.
Si può arrivare a creare veri e propri ‘gemelli digitali’, che consentono di riprodurre i processi con una crescente fedeltà agli originali, fino a prevenire eventuali errori. Ciò che si può apprendere da questo processo è sorprendente.
Il controllo della filiera di Levoni
Un esempio concreto è ciò che è stato fatto presso i prosciuttifici del Gruppo Levoni. Qui entrano 16mila maiali a settimana, un volume che posiziona Levoni tra le prime aziende del settore in Italia. L’intero stabilimento è stato sensorizzato e, come previsto, è aumentato il livello di sicurezza, ma anche la resa del prodotto. Non solo: l’utilizzo di tecnologie appositamente ideate ha portato risultati, in termini di risparmio di risorse, tali che, all’inizio del percorso, non erano nemmeno stati preventivati.
Infatti, grazie al tagging di ben 13mila contenitori in acciaio per la carne, usati anche per il trasporto ai clienti, si è scoperto che alcuni di questi si perdevano. Avendo un costo di circa 200 euro l’uno, si può dire che l’azienda ha un capitale ‘mobile’ di 2,5 milioni di euro, che ‘viaggia’ per l’Italia ed è sottoposto ad un elevato rischio di smarrimento.
Ebbene, grazie ai tag, ora, la proprietà sa sempre esattamente dove si trova ogni contenitore e questo contribuisce anche a mantenere traccia della filiera della carne. Con un investimento relativo, dunque, a impatto pressoché immediato e scalabile, l’azienda ha beneficiato di conseguenze positive date dalla propria rivoluzione digitale anche in ambiti inizialmente inattesi.
Focus sulla sicurezza dei sistemi
La raccolta di un elevato numero di dati acquisisce un senso solo se essi diventano, poi, informazioni. Lo scopo della collaborazione tra Filippetti e Cisco è proprio questo. Di fronte alla presenza di un tale flusso di informazioni è evidente che la sicurezza informatica diventa fondamentale.
Oggi gli attacchi hacker non riguardano più solo i colossi del web, le banche, le Pubbliche amministrazioni, ma sempre di più anche le aziende sono sottoposte a questo pericolo, come per esempio è avvenuto a luglio 2019 a Bonfiglioli Riduttori.
Diversamente però da quanto avviene per gli altri possibili bersagli, di fronte a un simile attacco l’azienda potrebbe essere costretta a fermare la produzione: come ben sanno imprenditori e manager, una eventuale interruzione della catena produttiva è l’evento peggiore che possa capitare. Ecco che, più avanza la Digital transformation, più è necessario garantire la sicurezza dei sistemi.
Essa è anche sicurezza degli operatori: infatti, persino i dispositivi indossati dalle persone possono essere dotati di sensori per monitorare i dati. In questo modo si può conoscere in tempo reale se un lavoratore indossa correttamente i dispositivi, dove si trova, se è caduto ed è fermo a terra, o se ha avuto un malore. L’operatore stesso può essere avvisato con una vibrazione se ha dimenticato di indossare o se indossa male un presidio.
Chiaramente, questo ha ricadute positive anche in termini economici, costituendo, in primo luogo, un elemento di garanzia per le assicurazioni e, dunque, consentendo alle aziende di pagare premi più bassi. Secondariamente, è possibile comprendere in maniera pressoché immediata se si possano ottimizzare gli spostamenti dell’operatore.
Si dice che la vera svolta smart, anche banalmente per i telefoni cellulari, sia stata la geolocalizzazione. È così anche nelle aziende: come dicono in Giappone, chi lavora direttamente sulla catena produttiva dovrebbe consumare un solo paio di scarpe all’anno, mentre chi sta in ufficio dovrebbe usarne sette.
Al di là dell’enfasi sul tema, è un fatto che questo tipo di controllo possa concretamente consentire di riprogrammare ogni singolo spostamento di un operatore nelle diverse aree della produzione, efficientando i processi.
La sensorizzazione degli strumenti, peraltro, permette di scovare errori inaspettati, come è successo, per esempio, in un’azienda che produce pezzi metallici che necessitano di una cottura in appositi forni. Nella convinzione di poter fare affidamento sulla temperatura indicata dal forno stesso, non si era mai verificato se corrispondesse al vero. L’inserimento di alcuni sensori ha, invece, rivelato che all’interno di essi si raggiungevano temperature di 10-15 gradi più del necessario.
Correggere tale discrepanza ha permesso all’azienda non solo di ottenere prodotti qualitativamente migliori, ma anche di risparmiare energia e, quindi, di diventare più sostenibile, più attenta ai consumi e, dunque, all’ambiente.
Si può concludere, dunque, che reimpostare i processi sulla base degli strumenti forniti dalla rivoluzione digitale in corso è un vantaggio per tutti: aziende, lavoratori, ambiente.
Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.
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