Proteggere persone e business al tempo del coronavirus
Bill Gates lo aveva predetto due anni fa. “Il mondo deve prepararsi alle pandemie seriamente come quando ci si prepara a una guerra”. Con più di mille vittime, oltre 43mila contagiati, quattro metropoli cinesi isolate e 20 milioni di persone in quarantena, il nuovo coronavirus sta mettendo a dura prova la salute – e l’economia – di mezzo mondo.
Nel 2018, durante la conferenza annuale sui programmi educativi della Massachusetts Medical Society a Boston, il fondatore di Microsoft aveva messo in guardia sulla necessità di prepararsi a reagire a eventuali epidemie su scala planetaria, individuandole come uno dei maggiori rischi per l’economia globale.
Dello stesso avviso, nel 2019, il World Economic Forum. Secondo le stime della fondazione internazionale, ogni anno le pandemie impongono al Pianeta un ‘pedaggio’ di circa 570 miliardi di dollari. Paragonabile soltanto al rischio economico derivante dai cambiamenti climatici. E non serve richiamare precedenti storici troppo remoti, come la peste nera del 1300, che pure, secondo gli storici dell’economia, causò in Italia una riduzione del Pil del 27%.
Andando indietro al secolo scorso, tra il 1918 e il 1919 l’influenza spagnola contagiò 500 milioni di persone e causò almeno 50 milioni di morti: solo nel nostro Paese, secondo uno studio di Bankitalia, il Pil scese del 5,6% in un anno. Più di recente la Sars, l’epidemia del 2003 che costò al gigante asiatico circa 33 miliardi di dollari, ha dato un’idea di quanto velocemente il virus possa fare il giro del globo, influendo sulle economie ormai interconnesse di ogni Paese. Le conseguenze dell’influenza suina del 2009 – 285mila morti – sono state stimate in 55 miliardi di dollari, mentre il virus Ebola – 11.300 morti e 28.700 contagi – ha avuto un impatto economico di circa 53 miliardi.
L’economia cinese vale oggi il 19% del Pil mondiale: un suo rallentamento dovuto al virus nato nel mercato della carne esotica di Wuhan potrebbe causare un minor sviluppo globale stimato tra lo 0,15 e lo 0,30%. A preoccupare non sono solo le ricadute economiche, ma il rischio di una fuga dal fronte asiatico: Apple ha sospeso le attività negli uffici e negli store, Starbucks ha chiuso 2mila bar, Toyota e Tesla hanno interrotto la produzione negli stabilimenti del Paese.
E già si teme che il rallentamento delle attività dei fornitori cinesi possa far slittare il lancio di dispositivi high tech attesi in autunno, iPhone 12 e Playstation 5 inclusi. Come insegnano le ultime emergenze sanitarie globali, dalla Sars alla suina, l’incertezza circa la capacità di controllare la crisi assume un peso fondamentale nel determinare l’allarme generale. Per le strutture pubbliche come per le aziende private, l’imperativo è pianificare.
Valutare, decidere, informare e formare
L’avvento del nuovo coronavirus è l’esempio perfetto di ‘cigno nero’: un evento imprevedibile, per modalità e tempistica, che non rientra nel campo delle normali aspettative. Ciò non significa che non debba essere tenuto nella giusta considerazione dalle aziende che hanno dipendenti all’estero.
“Il rischio epidemia o pandemia è un rischio. Anche se non si chiama ancora coronavirus, dev’essere inserito all’interno del piano di valutazione dei rischi”, spiega Paola Guerra, Direttrice della Scuola internazionale di Etica & Sicurezza Milano – L’Aquila, ente di formazione manageriale e professionale e società di consulenza specializzata nel Travel risk management.
Oltre al duty of care, che impone alle aziende di prendersi cura delle proprie persone ovunque si trovino, esistono infatti chiari obblighi di legge che impongono alle imprese di valutare i rischi, informare e formare i dipendenti sul tema della sicurezza durante i viaggi all’estero. C’è, infine, anche una responsabilità etica che attiene alla tutela del profitto aziendale.
In caso di pandemia accertata, il primo passo è la formazione di un’unità di crisi interna alla struttura, un crisis team che prenda decisioni con ragionevolezza e rapidità: verificare se ci sono persone in aree a rischio, far rientrare i dipendenti, sospendere le trasferte, chiudere uno o più stabilimenti. È fondamentale attingere a fonti affidabili e ad analisti esperti, esterni o interni all’azienda, per avere il maggior numero possibile di informazioni su quello che sta accadendo. Per verificare le decisioni prese, occorre un report aggiornato almeno una volta al giorno.
“A questo punto interviene il passaggio più delicato, quello della comunicazione ai dipendenti per evitare il panico all’interno dell’azienda”. La parola da tenere a mente, spiega Guerra, è Kiss, acronimo di Keep it short and simple.
“Occorre un linguaggio chiaro, esaustivo e tempestivo. La pandemia è una paura atavica e la gente ha molta più paura di morire a causa di un’epidemia che in guerra. Il percepito dei pericoli va sempre considerato, perché è in base alla percezione del rischio che ci comportiamo in modo più o meno razionale”.
Protocolli rodati e aiuti tecnologici
Securitalia, gruppo italiano attivo nel campo della sicurezza, in Cina segue 30 aziende che impiegano circa 3mila addetti nei settori Tessile, Farmaceutico, Energetico e Alimentare. Una decina di queste attività ha sede proprio nei territori vicino a Wuhan. Prima che iniziasse il blocco dei voli, è stato attivato, nell’arco di 10 giorni, un piano di evacuazione per 1.500 lavoratori che hanno chiesto di rientrare in Italia.
Per tutti gli altri addetti rimasti in Cina, italiani e non, è partito il protocollo di emergenza sanitaria già messo a punto negli anni della Sars, che prevede l’isolamento dei manager e la riduzione dei contatti personali.
Per assicurare continuità a livello produttivo, i vertici aziendali sono stati ‘distaccati’: i lavoratori, soprattutto cinesi, utilizzano strumenti informatici per lavorare da casa o in luoghi sicuri, anche solo in presenza di lievi sintomi influenzali. Il personale viaggiante è sottoposto a un piano di quarantena: lavora a piano terra e non può utilizzare l’ascensore. Negli uffici tutti indossano le mascherine e utilizzano i distributori di disinfettanti installati nei corridoi, con tanto di controlli costanti della temperatura corporea.
Contro il rischio pandemia, anche le nuove tecnologie possono venire in aiuto. Secondo Mark Lambrecht, Director of the Global Health and Life Sciences Practice di SAS, i Big data provenienti da fonti sentinella e gli advanced analytics avranno un ruolo chiave nella protezione e nella sicurezza in presenza di minacce pandemiche.
Analytics, Intelligenza Artificiale e Machine learning possono aiutare le organizzazioni e le strutture sanitarie a comprendere e imparare dagli eventi passati, ma anche a creare con rapidità nuovi insight dai dati. La sorveglianza sindromica, il text mining e l’analisi dei social media permetteranno di tracciare i sintomi della malattia e rilevare le prime fasi delle epidemie. Infine, l’analisi predittiva già oggi può essere applicata ai dati provenienti da ospedali, aeroporti e altri luoghi pubblici, in modo da prevedere la diffusione della malattia e i rischi per l’uomo.
Investire in sicurezza e agire in modo sistemico
“Gestire bene il rischio significa gestire bene le opportunità di business”, sottolinea Andrea Chittaro, presidente di Aipsa, Associazione italiana professionisti security aziendale. Se non vogliono rinunciare ai benefici di fare attività all’estero, le imprese devono attrezzarsi anche sotto il profilo della sicurezza. Per quanto eccezionale sia l’evento pandemico, occorre quindi dotarsi di un modello di gestione della crisi.
“Strutture veramente competenti possono indicare come mitigare il rischio e permettono anche alle PMI di andare a esplorare attività di business altrimenti loro precluse”. Tutte le aziende strutturate hanno – o dovrebbero avere – un modello di gestione delle crisi che contempli anche il caso pandemia. Funzionano bene i programmi di travel security che monitorano 24 ore su 24 la situazione su ogni Paese del mondo, valutandone i rischi specifici e permettendo all’occorrenza all’impresa di organizzare evacuazioni o trasporti medicali.
Le prime raccomandazioni da tenere in considerazione sono sempre quelle che arrivano dalle autorità sanitarie e che vanno poi tradotte in indicazioni per le persone. Esistono piani strutturati per gestire le emergenze, ma, essendo riferiti a casi eccezionali, hanno poca letteratura e poca base esperienziale.
“Ogni crisi ha una storia a sé. L’importante è essere preparati e avere uno strumento di comunicazione e governance che metta attorno un tavolo tutti i decisori per agire con tempestività”, raccomanda Chittaro. Servono piani di recovery e strategie di sostituzione delle persone che si ammalano, per garantire continuità al business. Ed è importante agire in modo non isolato, ma affidandosi al sistema di relazioni tra l’impresa e le istituzioni e tra le imprese stesse.
Occorre soprattutto la giusta consapevolezza da parte dei vertici aziendali: “È chiaro che il loro mestiere è sviluppare il business, ma in situazioni di emergenza devono dare il giusto commitment a chi deve gestire l’imprevisto. Il momento è destabilizzante e se non si è investito il giusto in sicurezza e nelle strutture deputate alla gestione dei rischi, i problemi possono diventare più complessi”.
Minimizzare il rischio e procedere con cautela
In concreto, che cosa possono fare le imprese in presenza di un’epidemia? Secondo le raccomandazioni diffuse in questi giorni da Crown Worldwide, rete internazionale di professionisti per la gestione della mobilità aziendale, le imprese possono adottare decisioni finalizzate a limitare la diffusione del virus all’interno delle loro organizzazioni, garantire continuità al business e alleviare le preoccupazioni del personale sul ritorno al lavoro.
“Il coronavirus è una situazione in rapida evoluzione con governi e aziende che lavorano per minimizzare il rischio e impostare risposte frequenti man mano che cambiano le cose. Ogni azienda avrà un proprio piano di mitigazione del rischio e sicurezza dei dipendenti”, assicura Marco Dilenge, Regional Marketing Manager di Crown World Mobility.
“Il nostro team di immigrazione ha pubblicato e condiviso sui social aggiornamenti sui visti in merito all’entrata e all’uscita dalla Cina e a eventuali problemi di viaggio. I nostri uffici a Hong Kong e in Cina hanno comunicato ai dipendenti della regione la continuità aziendale di Crown e le misure di sicurezza adottate”.
Il documento diffuso agli account manager e prodotto da Pure Living, fornitore di servizi per Crown World Mobility in Cina, raccomanda un approccio graduale, che parta dall’adozione di misure protettive individuali immediate, crei un ambiente ostile alla trasmissione del virus e lo mantenga tale attraverso una misurazione e una gestione proattiva del fenomeno. Non solo mascherine, dunque, ma anche sistemi che controllino la ventilazione e il ricambio d’aria, HR policy per identificare il personale a rischio, sterilizzazione giornaliera delle aree comuni.
Il management è chiamato a un self-assessment continuo, che permetta di identificare le azioni già adottate e il livello di protezione offerto al personale. “È un argomento rilevante di preoccupazione, in merito al quale raccomandiamo massima cautela”, sottolinea Dilenge. “È bene essere coscienti del problema, adottare tutte le misure di sicurezza necessarie e condividerle con i clienti”.
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Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom – Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE.
Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.
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