Puoi amare il lavoro, ma lui non ti ama
“Fa’ ciò che ami, e non lavorerai nemmeno un giorno in vita tua”: quante volte abbiamo sentito questo slogan, che ha mosso le nostre vite alla ricerca dell’incarico dei sogni? Peccato che in quella frase di Confucio rischia di nascondersi la ricetta per lo sfruttamento, un programma in codice per una nuova tirannia del lavoro che abbiamo accolto felici, convinti che le attività lavorative avrebbero ricambiato quell’amore: lo sostiene la giornalista statunitense Sarah Jaffe nel suo ultimo libro Il lavoro non ti ama. O di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli (Minimum Fax, 2022). “La realtà è che non abbiamo mai lavorato tanto come adesso. Attanagliati da stress, ansia e solitudine, ciò che ci viene richiesto è una disponibilità praticamente illimitata e senza orari. La storia del lavoro fatto per amore è, in parole povere, una truffa”, specifica l’autrice nell’introduzione.
Guidata da studiosi e studiose come Karl Marx e Silvia Federici, Mark Fisher e Bell Hooks, Guy Standing, Selma James e molti altri, Jaffe vuole mostrare che il neoliberismo è un progetto di manipolazione delle emozioni, ma sta crollando ed esiste una possibilità di lotta a partire dalle sue rovine. “La beffa più grande del capitale è stata convincerci che il lavoro sia il nostro più grande amore. Liberare l’amore dal lavoro, allora, è la chiave per ricostruire il mondo”, è la sua tesi.
La nuova fatica lavorativa
Il lavoro che si fa sempre con il sorriso sulle labbra, che mette in gioco i talenti migliori e ci fa sentire parte di una squadra o di una famiglia, secondo la giornalista, è un idillio che si sta incrinando. E al posto delle farfalle nello stomaco, c’è la sensazione che in questa relazione qualcosa non vada. “Perché facciamo sempre più fatica a cogliere il privilegio delle nostre vite precarie?”: Jaffe prova a rispondere intrecciando le singole storie di persone che lavorano a un’analisi della storia recente.
La struttura dell’esposizione funziona introducendo una donna o un uomo, e le sue aspettative tradite dal lavoro, da cui spesso si è espulsi. Il primo tipo di incarico che il libro affronta è quello di cura, cui sono dedicati tre capitoli, a riprova della sua centralità sociale, drammaticamente messa in evidenza dalle ripercussioni della pandemia. Seguono il lavoro domestico, del Retail, i settori digitali e Tech. Il messaggio è che le prerogative di quello che prima era chiamato “posto fisso” (ormai sono un ricordo) si sono volatilizzate: “Come migliaia di articoli e di libri non smettono di raccontarci, siamo tutti esausti, in burnout, sommersi di lavoro, sottopagati e impossibilitati a conciliare il lavoro con la vita privata (ammesso che una vita privata ce l’abbiamo)”, scrive l’autrice. La conclusione di Jaffe è che dobbiamo smettere di confondere il bisogno emotivo di fare cose insieme con altri con le necessità del datore di lavoro.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
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