Spazio di lavoro

Quelli che… addio azienda perché c’è troppo da lavorare

I carichi di lavoro insostenibili sono tra i principali fattori che contribuiscono al fenomeno delle Grandi dimissioni. Che si aggiungono a compensi giudicati inadeguati e mancati avanzamenti di carriera. È quanto emerso da un nuovo sondaggio di McKinsey & Company ripreso dalla media company statunitense Forbes, che ha coinvolto tra dicembre 2020 e dicembre 2021 circa 600 persone. Nel tentativo di comprendere il fenomeno da parte della società di consulenza, sono emersi diversi aspetti, tra i quali il desiderio di una retribuzione più elevata, di una maggiore crescita professionale e avere più tempo libero, congedi familiari più significativi e la possibilità di usufruire di servizi per il benessere.

Circa il 35% degli intervistati ha affermato che le aspettative insostenibili sulle prestazioni lavorative sono state il motivo per cui hanno deciso di lasciare un lavoro e la stessa percentuale ha spiegato che la ragione delle dimissioni stava nel doversi relazionare con leader indifferenti in particolare rispetto al loro avanzamento professionale. A seguire, in percentuali minori, sono state indicate come determinanti per l’addio al posto di lavoro: la mancanza di supporto per la salute e il benessere dei dipendenti; il compenso inadeguato; la mancanza di flessibilità sul posto di lavoro.

Da evidenziare che la questione della retribuzione è appena al sesto posto della graduatoria dei fattori che hanno generato la Great resignation. Dal punto di vista di Bill Schaninger, Partner Senior di McKinsey & Company e autore del sondaggio, la paga non è tutto e i dipendenti che vedono uno scopo nel loro lavoro e che si muovono in un ambiente appagante sono disposti a mettere in secondo piano lo stipendio. “Le persone si stanno rendendo conto che nel lavoro si sentono come macchine, ma gli esseri umani non sono progettati per funzionare in questo modo”, ha commentato Helen Bedham, consulente per la leadership e autrice di The future of time (Practical Inspiration Publishing, 2022).

Nonostante quanto emerso, Schaninger ha fatto notare come siano davvero pochi i datori di lavoro che stanno cercando di ridimensionare i volumi di lavoro del personale; al contrario, anche davanti alle Grandi dimissioni le aziende stanno cercando di gestire la stessa quantità di lavoro con un terzo o un quarto in meno di dipendenti.

I lavoratori chiedono nuovi approcci, non nuovi orari

Ma che cosa succede dopo le dimissioni? Secondo il sondaggio, il 47% dei 600 intervistati ha iniziato una nuova attività; tra questi, il 76% ha scelto un lavoro che si può considerare ‘tradizionale’ e poco flessibile, mentre la restante parte si è orientata verso qualcosa di meno strutturato. Inoltre, solo il 21% è tornato nello stesso settore e gli ambiti nei quali sono stati manifestati i più significativi segnali di logoramento da parte dei dipendenti sono stati quelli della Sanità, dell’Istruzione e delle Vendite. Infine, tra chi ha abbandonato volontariamente la propria occupazione senza aver già preso accordi per iniziare una nuova attività, il 44% ha affermato di avere poco o nessun interesse a tornare al lavoro in presenza nei successivi sei mesi.

Chiedendo al campione la ragione per quale si è poi deciso di riprendere a lavorare in una nuova realtà, il 40% circa degli intervistati ha indicato di aver ricercato politiche aziendali più flessibili. “Flessibilità”, però, stando a quanto espresso dalle persone coinvolte, non significa solo uscire dai canonici orari d’ufficio: “In realtà parliamo di come, quando e dove un’organizzazione opera attraverso gli spazi e i luoghi di lavoro, il tempo e la tecnologia, ma anche il ritmo al quale è chiesto di svolgere il lavoro”, ha commentato Cali Williams Yost, fondatrice e CEO di Flex+Strategy Group, una società di consulenza. Una richiesta alla quale le aziende possono rispondere pienamente solo con cambiamenti strutturali e non solo con soluzioni superficiali.

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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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