Recuperare i valori manageriali dispersi
Gli sconvolgimenti prodotti da tecnologia, geopolitica e aumento di variabili non controllabili hanno messo in discussione conoscenze e strumenti operativi che hanno accompagnato decenni di crescita ‘normalizzata’ nelle aziende. Per questo oggi appare sempre più inevitabile ripensare il modo stesso con cui abbiamo immaginato a lungo il futuro nello sviluppo sociale e nella gestione dei business. Lo fa Pier Luigi Celli, un’autorità per chi si occupa di management, visti i ruoli ricoperti nella sua lunga carriera dopo la laurea in Sociologia all’Università di Trento: tra gli incarichi come Responsabile della Gestione, Organizzazione e Formazione delle Risorse Umane basti ricordare quelli in grandi aziende, quali Eni, Rai (di cui è stato anche Direttore Generale), Omnitel, Olivetti ed Enel. Dopo essere stato Senior Advisor dell’Amministratore Delegato in Poste Italiane, oggi è Presidente di Sensemakers, società che offre servizi di consulenza e prodotti in ambito digital basati su Big data e Analytics, oltre che prolifico scrittore.
La sua ultima riflessione – Organizzazioni sull’orlo di una crisi di identità. Sul perché sia indispensabile tornare a generare storie e recuperare valori manageriali dispersi (ESTE, 2022) – è un testo che fa parte della Scuola di Sviluppo&Organizzazione, la nuova iniziativa formativa della casa editrice ESTE e della sua rivista: il percorso, curato dal Direttore di Sviluppo&Organizzazione, Gianfranco Rebora, si compone di un insieme di formazioni e lezioni singole curate dai ‘maestri’ dell’organizzazione, che fornisce ai manager solide basi teoriche per intervenire con maggiore efficacia in progetti di innovazione e cambiamento che impattano sull’organizzazione di uffici, reparti, servizi, routine operative.
Il libro di Celli parte dal presupposto che non basta pensare in funzione del risultato se non si sa costruire la cornice che dia un senso al lavoro e un orizzonte in grado di dare continuità alle organizzazioni. “Le imprese oggi faticano a conservare un’anima, figurarsi a doversi preoccupare anche del cuore, emotivamente analfabete come si sono ridotte”, scrive l’autore nella sua opera.
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Lasciare un’eredità intelligente
Ma perché si dovrebbe rinunciare alle routine ben collaudate e a modelli previsionali che non mettono in discussione gli assetti di potere in uno schema gerarchico da sempre imperniato sul controllo? Potrebbe essere una domanda che si fanno le aziende, che Celli invita a cambiare modo di pensare, definito come “una vera e propria ‘miopia organizzativa’, che non è in grado di valutare gli effetti collaterali di certe non scelte, né le conseguenze sui tempi lunghi di alcune pigrizie decisionali”.
È così, poi, che si determinano le condizioni che facilitano la produzione di eventi avversi, nati spesso dalle mancate risposte delle organizzazioni alla rapidità con cui cambiano i contesti. La ‘miopia organizzativa’, per Celli, diventa particolarmente rischiosa quando avanzano condizioni caratterizzate da crisi impreviste e da alta complessità sui confini, con accelerazione correlata di cambiamenti indispensabili e spesso nemmeno pensati. Analizzando quindi i termini delle questioni in campo, il libro prova a percorrere una strada che richiede coraggio e qualche approssimazione da sperimentare: “Vanno solo spostate certe angolature critiche cercando di fare a meno del culto canonico per un catechismo manageriale in gran parte rivedibile”, è la tesi di Celli, che si dice convinto che per avere chiara la situazione non basta capire o dare a vedere di avere capito. Servirebbe invece quelli che definisce ‘un cuore intelligente’ in grado di guardare avanti adunando pensieri, sentimenti, gusto della sfida e capacità di aggregare quelli che sono in campo tutt’intorno.
L’autore conclude il testo con una riflessione su linguaggio o, meglio, “l’uso perverso della lingua che avanza e alla tendenza preoccupante del distacco – quasi preventivo – dal lavoro, che accelera uscite, scambi e disaffezioni”. Il guaio, per Celli, è che con l’impoverimento delle parole, dovuto soprattutto all’uso dei social media, è cresciuta parallelamente l’intensità e la frequenza della loro adozione nei contesti più diversi (basti pensare ai termini “resilienza” o “sostenibilità”), con l’aumento esponenziale di un rumore che fa tendenza a scapito di un pensare critico di cui invece si sente il bisogno. “E per noi padri, assumersi la responsabilità per la confusione con cui consegniamo assetti e strumenti gestionali ai giovani, sarebbe già un primo passo per tentare di riscattare imprevidenza e disinteresse”, è la riflessione dell’autore.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
Pier Luigi Celli, Scuola di Sviluppo&Organizzazione, Organizzazioni sull’orlo di una crisi di identità