Regolarizzare i braccianti è una battaglia per la sopravvivenza

Fatti sfogare gli hater che hanno trovato un nuovo obiettivo (sempre una donna) dopo aver vomitato la loro dose di odio contro la cooperante Silvia Romano, proviamo ad andare più in là del pianto del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Teresa Bellanova sul fronte delle regolarizzazioni di colf, badanti, baby sitter e lavoratori del settore agricolo-pesca-allevamento. In particolare concentriamoci sui braccianti.

Per un caso incidentale, abbiamo incrociato un rappresentante di Ono Exponential Farming, azienda impegnata a ideare soluzioni di coltivazioni verticali iper tecnologiche, che ci ha fatto notare come nel mondo i lavoratori agricoli rappresentino circa il 2% della popolazione mondiale: una manciata di persone che sfama tutto il Pianeta. Tra questi, almeno in Italia, moltissimi sono lavoratori in nero – la stima di Coldiretti è che a fronte di 850mila in regola ce ne siano oltre 1 milione irregolari – e quasi tutti sono stranieri, arrivati in Italia con permessi turistici, di studio o religiosi.

Nonostante il settore sia in eterna evoluzione e sempre più meccanizzato, servono ancora persone in carne e ossa per coltivare la terra. E ci sarà bisogno di braccianti almeno fino a quando non avverrà una rivoluzione digitale dell’agricoltura (non è così lontana dall’orizzonte, visto che di Smart agriculture se ne parla da qualche tempo). Il problema è che le tecnologie – a differenza di quelle già applicate in altri ambiti – sono ancora molto costose, tanto che la ricerca è concentrata soprattutto nel renderle sostenibili più che a potenziarle. Almeno dai racconti di Ono Exponential Farming, la soluzione è quasi a portata di mano.

Un giorno le tecnologie libereranno completamente l’uomo dal lavoro nei campi: in un futuro davvero vicino, più che di agricoltori avremo bisogno di Data scientist e allora potremo permetterci perfino di ridurre la percentuale di braccianti. Ma fino a quel giorno, abbiamo bisogno che ci sia qualcuno che lavori la terra con le proprie mani. Per alcuni la regolarizzazione dei lavoratori in nero è una battaglia ideologica. Forse, dovremmo considerarla come una sfida per la sopravvivenza. La nostra.

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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