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Riaccendiamo i cellulari in classe (e in aula)

Le vacanze natalizie hanno distolto l’attenzione dalla Circolare emanata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara il 19 dicembre 2022 dal titolo Indicazioni sull’utilizzo dei telefoni cellulari e analoghi dispositivi elettronici in classe: il documento ricorda che “vige in via generale un divieto di utilizzo in classe di telefoni cellulari”. Poi il Ministro è tornato a parlare tramite interviste, invitando a leggere bene la circolare: “L’uso del cellulare per scopi didattici è riconosciuto”, ha puntualizzato.

L’uso del cellulare per scopi didattici può essere inteso in molti modi, ma innanzitutto in due: usare il telefono in lezioni specificamente destinate a insegnarne l’uso; oppure considerare che il cellulare, se ben usato, possa essere uno strumento didattico. La seconda possibilità sembra in realtà esclusa dal Ministro, se non altro perché nella sua circolare cita come pezza d’appoggio la relazione finale dell’indagine conoscitiva della Settima commissione permanente del Senato “sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento”, della XVIII Legislatura (9 giugno 2021).

Nella relazione si legge la seguente frase: “Dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri”. Mi sono sempre meravigliato della scarsa eco che ha avuto questa relazione presso la comunità professionale dei docenti, presso la comunità professionale dei formatori aziendali, e soprattutto presso la comunità professionale degli esperti di elearning e, in genere, di formazione per via digitale. Davvero esiste convergenza degli esperti verso queste opinioni? Davvero si ritiene che più lo studio si digitalizza, più calano le competenze?

Sono tra coloro che si spendono per mettere in guardia contro aspetti pericolosi della digitalizzazione; ho scritto, a proposito, di una necessaria educazione all’uso degli strumenti digitali e sul rischio di depauperamento dell’essere umano, sostituito nel lavoro e nel pensiero da strumenti digitali. Ma qui si butta via il bambino con l’acqua sporca. Sembra che sia impossibile un approccio equilibrato e costruttivo. Una volta esperti di nuove tecnologie e innovazione vanno a raccontare la propria visione del mondo ai Parlamentari: narrano le meraviglie e la necessità del digitale, e si stilano così preoccupati documenti sulla scarsa digitalizzazione dei nostri giovani, con la conseguente perdita di competitività del nostro Paese. Un’altra volta vanno ad ammonire gli stessi Parlamentari altri esperti, e si stilano allora documenti sul calo di competenze causato dalla digitalizzazione. E propongono come salvezza della scuola il bandire i cellulari in classe.

L’autorevolezza dei docenti e l’attenzione dei discenti

Nessuno vuole supporre che il Ministro misconosca il contesto sociale ed economico nel quale viviamo, inevitabilmente segnato dal digitale. Spengere per qualche ora lo smartphone lascia intatte le minacce implicite nell’uso dell’apparecchio. Tenendolo spento non si impara a usarlo in modo adeguato, rispettoso di sé e degli altri; non si impara a prendere coscienza di come il cellulare è mezzo di controllo sociale e di appropriazione di dati. Dobbiamo dunque chiederci con più attenzione quale sia la vera motivazione della circolare.

Dice il Ministro: “L’interesse delle studentesse e degli studenti, che noi dobbiamo tutelare, è di stare in classe per imparare. Distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo”. È facile concordare anche con questa affermazione. Ma poi Valditara aggiunge: “Ed è inoltre [il distrarsi con il cellulare] una mancanza di rispetto verso la figura del docente, a cui è prioritario restituire autorevolezza”. Ecco la motivazione della sottrazione preventiva degli smartphone: restituire autorevolezza alla figura del docente. Basta così poco per restituirla? E la misura è efficace per lo scopo? Non credo.

Resta da chiedersi dove nasce l’autorevolezza del docente, e come essa si manifesta. Si può ritenere che sia abbassata dal fatto che i ragazzi conoscono l’uso del cellulare molto meglio dei docenti. L’autorevolezza, allora, sarà ripristinata non attraverso il bandire i cellulari, ma attraverso una maggior conoscenza dello strumento da parte dei docenti. Se poi si va oltre la riflessione sulla cultura digitale del docente, è facile ricordare che la carenza di autorevolezza degli insegnanti esiste a prescindere dalla presenza in aula, nelle mani di ognuno, dei famigerati apparecchietti.

Basta riandare con la memoria ai tempi della scuola, o se vogliamo, basta rileggere libri – per esempio Cuore, Pinocchio, Tempi difficili, Oliver Twist – per ricordare che da ben prima dell’avvento dei cellulari esiste, per il docente, il tema del ‘saper mantener desta l’attenzione’: c’è chi sonnecchia, chi sbadiglia, chi è distratto, chi stuzzica l’altro, chi sparpaglia libri e quaderni altrui, chi sbeffeggia i compagni, chi legge per i fatti suoi ignorando la voce risuonante dell’insegnante… Ma quando le parole del docente prendono e commuovono, si fa silenzio. Quando gli sguardi di insegnante e discenti si incontrano, si illuminano a vicenda: ogni brusio e ogni movimento cessano; ogni cellulare è spento o ignorato.

Diciamolo: siano presenti o no in aula i cellulari, siano accesi o spenti, il docente capace di appassionare, di avvincere con le proprie narrazioni, mosso dall’amore per la conoscenza, non avrà difficoltà a distogliere gli studenti da qualsiasi notifica, dall’ultimo messaggio sulla chat, dalle immagini postate o dalla routine del videogioco. Se non abbiamo insegnanti appassionati e capaci, affrontiamo questa questione. I cellulari spenti sono un palliativo buono solo per spostare l’attenzione dal problema. Un palliativo oltretutto vano.

Il cellulare acceso come fonte di apprendimento 

È facile immaginare come l’editto ministeriale possa essere preso dagli studenti più svegli e più intelligenti come una sfida: qualcuno dichiarerà di aver lasciato il telefonino a casa; qualcun altro si farà vanto di aver consegnato un telefonino civetta tenendone un altro in tasca. Si vogliono forse perquisire gli studenti? Non penso certo che un ambiente digitale possa sostituire l’aula fisica, ma penso che un sensato uso del digitale migliori l’apprendimento e l’insegnamento. Poche voci mi sembra si siano levate a dire che il cellulare in mano a ogni studente offre enormi opportunità didattiche e formative. L’insegnante potrà benissimo evitare di inquietarsi, di chiedere di spegnere gli aggeggi che gli studenti hanno in mano.

C’è sempre il modo per riportare l’attenzione sull’argomento che si sta trattando: chiedere di cercare sul Web qualcosa di attinente. Cercare su un dizionario il senso preciso di una parola, la storia di vita e l’immagine fotografica di una persona, la scheda che riassume il senso di un libro. Si parla di un concetto, si usa una parola. Consapevole del fatto che ognuno ha il cellulare acceso, l’insegnante può dire: “Cercatela sul dizionario, su un’enciclopedia”.

È vero che la separatezza dell’aula dal mondo è una risorsa da usare: essere lontani dai rumori del mondo può giovare. Ma è vero anche il contrario: l’aula non è una difesa dal mondo, non merita di essere usata come strumento per evitare gli eventi, ciò che accade fuori. Il ‘fuori’ digitale è una dimensione nella quale ogni cittadino oggi si trova a vivere. L’aula, intesa come ambiente di apprendimento, è il miglior ambiente per prepararsi a questa esperienza. Cercando insieme allargamenti e approfondimenti a partire dal tema della lezione, i confini dell’aula si sfondano e l’insegnante e gli studenti, insieme, accedono a una biblioteca sterminata; si immergono insieme nella Rete, fonte di conoscenza. Così, del resto, si torna a un compito basilare del formatore: accettare divagazioni, deviazioni, e saper tornare da lì sui punti chiave, sui nodi degli argomenti attorno ai quali si sta lavorando.

Educazione civica digitale

 Ripartiamo dall’affermazione del Ministro: “L’uso del cellulare per scopi didattici è  riconosciuto”. Mettiamola in pratica, tenendo i cellulari accesi in aula; sperimentandone l’uso responsabile e costruttivo. Daremo così senso alle contorte, burocratiche espressioni che leggiamo nella parte conclusiva della Circolare: “È viceversa consentito l’utilizzo di tali dispositivi in classe, quali strumenti compensativi di cui alla normativa vigente, nonché, in conformità al regolamento d’istituto, con il consenso del docente, per finalità inclusive, didattiche e formative, anche nel quadro del Piano nazionale scuola digitale e degli obiettivi della cosiddetta ‘cittadinanza digitale’ di cui all’articolo 5 della Legge 92 del 25 agosto 2019”.

Quest’ultima legge, ricordiamolo, riguarda l’introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica. L’articolo 5 è dedicato alla educazione alla cittadinanza digitale: “Nell’ambito dell’insegnamento […] dell’educazione civica, […] è prevista l’educazione alla cittadinanza digitale”. Qui, probabilmente, sta il vizio, il pregiudizio che porta a bandire i cellulari: si pensa alla cittadinanza digitale come a un singolo, parziale e forse ancora in fondo marginale aspetto della cittadinanza intesa in senso lato; si immagina che esista una cittadinanza a cellulari spenti.

Non è più così. Ogni cittadino, sempre più, è costretto a vivere con il cellulare in mano, acceso. Il cittadino rischia di essere ridotto a utente di servizi offerti o imposti tramite piattaforme di cui il cittadino nulla sa, e sulle quali il cittadino non può esercitare controllo. Anche i rapporti con la Pubblica amministrazione passano sempre più attraverso strumenti digitali. Alla luce di queste constatazioni, rileggiamo l’articolo 1, comma 1, della Legge 92/2019: “L’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”.

‘Educazione civica’ ed ‘educazione alla cittadinanza digitale’ sono sempre più la stessa cosa. La cittadinanza responsabile e attiva, la partecipazione alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, passano attraverso l’uso consapevole degli strumenti digitali, in ogni momento della vita. I giovani dovranno apprendere a vivere in un contesto digitale senza subirlo; dovranno apprendere quando ignorare il cellulare o spengerlo. Il “divieto di utilizzo in classe di telefoni cellulari” non è una buona lezione.

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Francesco Varanini

Francesco Varanini è Direttore e fondatore della rivista Persone&Conoscenze, edita dalla casa editrice ESTE. Ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi 15 anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del Personale, dell’Organizzazione, dell’Information Technology e del Marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale. Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per 12 anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa e ha tenuto cicli di seminari presso l’Università di Udine. Tra i suoi libri, ricordiamo: Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (Edizioni ESTE), Macchine per pensare.

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