Rieducare al lavoro

Rieducare al lavoro persone e organizzazioni

Il mondo del lavoro è in continua evoluzione, da sempre. Negli ultimi anni, però, i modelli e i valori tradizionali sembrano essere particolarmente in crisi, come dimostrano fenomeni come il Quiet quitting e le transizioni job-to-job, ma anche i turnover, la difficoltà da parte delle aziende di assumere personale e la stessa insoddisfazione dei lavoratori. Rispetto a quest’ultimo aspetto, il Rapporto nazionale della European Social Survey in Italia, pubblicato a settembre 2023 e condotto dall’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), evidenzia che l’Italia è in ultima posizione nella classifica dei Paesi più soddisfatti del lavoro, con neppure un italiano su due (47,5%) che ritiene di essere altamente appagato della propria professione.

Le nuove generazioni (e non solo) stanno definendo un modo diverso di concepire il lavoro, ricercando nelle loro attività un significato più profondo. La tradizionale struttura gerarchica e il concetto di presenza fisica in ufficio stanno perdendo terreno, mentre la flessibilità, l’autonomia e la ricerca di un maggiore equilibrio e una maggiore serenità sembrano essere al centro di queste nuove esigenze. Con l’obiettivo di discutere dei nuovi modelli organizzativi necessari in questo determinato momento storico e di delineare possibili risposte e strategie da mettere in atto, la redazione di Sviluppo&Organizzazione ha riunito al tavolo manager dell’Organizzazione, esperti e player del settore per discutere e confrontarsi rispetto al tema, riproponendo un format (“La discussione”, appunto) da tempo ‘messo in pausa’ a causa della pandemia da covid-19.

Ridefinire il senso del lavoro

Per comprendere e affrontare il cambiamento culturale che ha portato al ‘rifiuto’ del lavoro tradizionale è necessario che le organizzazioni si mettano in discussione, non solo promuovendo una cultura aziendale che valorizzi il benessere dei collaboratori e incoraggi il senso di appartenenza, ma esplorando nuove modalità di ricerca e selezione delle persone e adattando i programmi di formazione alle esigenze della popolazione (supportando la crescita professionale e personale a 360 gradi, anche, ma non solo, attraverso l’impiego di nuove tecnologie). Il titolo scelto per la Discussione è stato: “Rilanciare la motivazione nell’era del rifiuto del lavoro”, con un intento volutamente provocatorio, che potesse sollevare il dibattito e incentivare uno sguardo critico al mondo del lavoro moderno: “Parlare di ‘rifiuto del lavoro’ è sicuramente un’iperbole. Ma è anche vero che, nonostante il tasso di unemployed non sia mai stato così basso, come evidenzia una ricerca di Gallup, l’engagement è appena al 22%”, ha commentato Simone Piana, VP of HR, Head of Talent Acquisition International di ADP, azienda multinazionale attiva nei settori di Human capital management e Payroll.

In seguito alla pandemia sono emersi dei trend che hanno offerto una lettura del mondo del lavoro negativa: si pensi alla Great resignation e al Quiet quitting, rispettivamente i fenomeni delle dimissioni di massa e di un approccio alla propria occupazione per cui il collaboratore esegue e si occupa delle proprie mansioni ‘al minimo’ delle proprie possibilità. I Direttori del Personale e i player del settore invitati al tavolo di discussione si sono detti d’accordo nel riconoscere la necessità, da parte dei lavoratori, di trovare nuovi significati: per i collaboratori è importante avere uno scopo definitivo, che contribuisce anche ad alimentare la motivazione personale. “Si nota un sempre maggior bisogno di portare la propria individualità nelle organizzazioni. Le persone vogliono sentirsi ingaggiate e ricercano ownership”, ha riflettuto Mirella de Gemmis, HR Manager Commercial Organizations di GE HealthCare, società che opera nel campo delle tecnologie mediche e della diagnostica. La demotivazione, dunque, potrebbe derivare dalle aspettative disattese, dalla consapevolezza che le organizzazioni non sono capaci di offrire quanto le persone necessitano.

Per esempio, secondo Milena de Padova, Group HR Director di Giochi Preziosi, gruppo con headquarter in Italia che produce e commercializza giocattoli, le nuove generazioni faticano a riconoscere le gerarchie aziendali, che sono intese come un modello precostituito difficile da comprendere e distante dalla loro esperienza (essendo abituati alle interazioni immediate e dirette dei Social network): “Molti ragazzi sono più a loro agio con modelli di lavoro orizzontali e spesso preferiscono avere esperienze lavorative nelle startup, che permettono comunicazioni dirette e visibilità del proprio operato”, ha osservato la Group HR Director di Giochi Preziosi. “Ritengo corretto che le organizzazioni si interroghino e mettano in discussione quanto le nuove generazioni stanno in qualche modo ‘contestando’, ma è pur vero che spesso i giovani cercano l’autonomia, senza volersi assumere delle responsabilità”.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Ottobre-Novembre-Dicembre 2023 di Sviluppo&Organizzazione.
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flessibilità sul lavoro, nuove generazioni, Rieducare al lavoro


Martina Midolo

Martina Midolo

Classe 1996, Martina Midolo è giornalista pubblicista e si occupa di social media. Scrive di cronaca locale e, con ESTE, ha potuto approfondire il mondo della cultura d’impresa: nel raccontare di business, welfare e tecnologie punta a far emergere l’aspetto umano e culturale del lavoro.

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