Rivolta nelle banlieues, perché è una questione organizzativa

La ribellione in corso in Francia mostra il fallimento delle istituzioni nel produrre un ordine sociale sostenibile. La morte del diciasettenne Nahel M., ucciso con un colpo di pistola da un poliziotto, martedì 27 giugno 2023 durante un controllo stradale, è diventata il simbolo dello stile, dei metodi e della cultura espressa delle forze dell’ordine verso le banlieues, quartieri periferici abitati da generazioni di immigrati di origine africana. Sono soprattutto i giovani a dar sfogo, senza interruzioni da una settimana, al proprio malessere, rabbia ed emarginazione sociale.

Può essere utile rivedere il film I miserabili del regista Ladj Ly, premiato a Cannes nel 2019, per capire le dinamiche che animano la periferia parigina. Nel film, a Montfermeil, lo stesso luogo di alcuni episodi dell’omonimo romanzo di Victor Hugo, una pattuglia di tre poliziotti è alle prese con la complessità sociale del quartiere. La tecnologia di un drone intensifica la stratificazione sociale e incarna per ogni personaggio un significato e un desiderio diverso. Per i più giovani è una speranza di riscatto contro le vessazioni del potere pubblico.

Riproponiamo di seguito, in versione integrale, l’articolo “Il drone e il terzo poliziotto” di Gianfranco Rebora, Professore Emerito dell’Università Liuc-Carlo Cattaneo di Castellanza e Direttore della rivista Sviluppo&Organizzazione, che analizza la pellicola, focalizzando l’attenzione sull’atteggiamento della polizia e sugli strumenti tecnologici usati per documentare le azioni delle forze dell’ordine, la cui risonanza può essere amplificata dalla Rete: una situazione che merita una nuova presa di coscienza e una diversa responsabilizzazione.

Il drone e il terzo poliziotto

Succede sempre più frequentemente che oggetti tecnologici entrino con ruolo di protagonisti nelle situazioni sociali. Lo abbiamo visto con lo scanner satellitare del film Sorry we missed you di Ken Loach (nella rubrica Cinema&Romanzi, del numero 291 di Sviluppo&Organizzazione), ma è il caso anche del drone che interviene nel film francese I miserabili, uscito nel 2019 per la regia di Ladj Ly: un ragazzino lo fa volare nel cielo di un quartiere nel comune di Montfermeil, abitato in prevalenza da neri e islamici.

Sono immigrati più o meno recenti, ma spesso anche nativi del posto e cittadini francesi, come quasi sempre nel caso di bambini e ragazzi. Sono loro a dominare la scena iniziale, quando si riversano con grande entusiasmo e partecipazione nel centro di Parigi per festeggiare la vittoria della nazionale francese (con Mbappé, attaccante del Paris Saint-Germain, e i tanti altri campioni neri) nei mondiali di calcio del 2018.

La vita quotidiana nel quartiere porta però un diverso segno, che il regista (di origini maliane e che ha vissuto in quei luoghi) riconduce alla realtà dell’emarginazione sociale. Il parallelo con il grande romanzo di Victor Hugo non poggia solo sulla ripresa del titolo, ma anche sull’ambientazione a Montfermeil (il sobborgo dove Jean Valjean incontra Cosette) e sul ribellismo incarnato da un novello Gavroche, il ragazzino Issa, insieme con i suoi compagni di giochi e di avventure.

I grandi romanzieri dell’Ottocento, Hugo come Émile Zola e Charles Dickens, seppero sollevare la questione sociale, portando all’attenzione situazioni che i poteri politico ed economico preferivano oscurare. Adesso certe realtà trovano documentazione ed emergono anche dal basso, per le spinte di una soggettività diffusa potenziata dalle tecnologie: gli smartphone e i social, certo, ma ormai anche i droni.

Un contesto complesso e difficile

Issa è vivace e ribelle: sulla scia dell’entusiasmo scatenato dagli eventi calcistici, ruba incautamente un leoncino da un circo di gitani che non prendono bene lo sgarbo. Questo turba il precario equilibrio del quartiere, quel caos regolato su cui vigilano le forze dell’ordine impersonate da una squadra di tre poliziotti: la Brigata anticriminalità della banlieue 93 di Montfermeil. C’è però un altro ragazzino di colore, Buzz, solitario e un po’ fuori dagli schemi: è lui il proprietario del drone che filma dall’alto le cose e la vita delle persone. A volte, cerca di spiare le ragazze, ma gli capita anche di intercettare situazioni critiche; questo avviene quando gli agenti reprimono con violenza un gruppo di giovani disubbidienti alle loro intimazioni. È Issa a farne le spese, ma la telecamera del drone ha registrato tutto.

Un oggetto così non solo è potente, ma è intrinsecamente polivalente e ambiguo. Minaccia e seduce al tempo stesso, come traspare dalla bellissima scena del dialogo tra le tre ragazze che sono state spiate e Buzz. A loro non basta stigmatizzare il comportamento del giovane, che giudicano da pervertito; gli ispezionano il device e quando vedono però che ha filmato una loro compagna in atteggiamenti sconvenienti pretendono di avere il file per ‘distruggerla’ (proprio lei, non la registrazione). Poi chiedono, come compensazione, che il drone le filmi quando fanno la partita di basket al campo sportivo.

Così, l’oggetto tecnologico si incunea tra le trame dei diversi attori che animano una situazione complessa e ricca di conflitti. Per i tre poliziotti è una minaccia, con l’effetto di ricompattare una pattuglia che sembrava divisa da divergenti sensibilità e motivazioni, mentre per il suo proprietario è fonte di identificazione, di orgoglio, di riscatto da una condizione subalterna, ma anche di esposizione al rischio e a una violenza incontrollata.

Per il ‘Sindaco’ del quartiere, autoproclamatosi tale, è una turbativa rispetto alla sua capacità di mediazione nell’ecosistema sociale e di compromesso opportunista con le forze dell’ordine; per i gitani alla ricerca del leoncino, un appiglio per far valere la propria aggressiva rivendicazione. All’Imām Salah dà l’opportunità di alzare il livello e la presa del proprio carisma; per le gang criminali costituisce invece, un’arma preziosa di condizionamento e ricatto verso il potere pubblico.

Le tensioni conflittuali esplodono però nella lotta per il controllo del filmato. In una logica di convenienza, le fazioni in contrasto sembrano in grado di produrre un compromesso accettabile, ma la distruzione del drone prelude al prevalere del caos. Il venir meno dell’oggetto che evocava una speranza di riscatto rassicura i soggetti che difendono una parvenza di potere, ma attizza anche contro di loro la rabbia dei più giovani, i veri esclusi, quelli che hanno ben poco da perdere.

I tre agenti della brigata anticriminalità

Tra gli sconfitti, la parte centrale è giocata dagli agenti della pattuglia. Loro operano in abiti civili dentro un’auto senza insegne che presidia le strade del quartiere. Adesso, con l’inserimento dell’elemento nuovo, Stéphane, sono in tre.  Mentre lo presenta ai colleghi, il commissario da cui dipendono li ammonisce che “se non c’è la coesione non c’è squadra, si è soli” e, come aggiunge il capo pattuglia Chris, lo si è “di fronte alla brutalità del mondo che ci circonda”.

Il presidio dei poliziotti nella banlieue 93 è un lavoro soggetto a grande variabilità e incertezza del contesto. Variabilità, perché i problemi da affrontare cambiano continuamente (recuperare il leoncino è solo l’imprevisto del giorno; l’indomani ci sarà un’altra sorpresa); incertezza del contesto, perché i rapporti con i vari interlocutori sono esposti alle rispettive pulsioni e gli stessi obiettivi dell’intervento sono plurimi (reprimere, mediare, educare, controllare, evitare incidenti) e inevitabilmente concorrenti e confliggenti.

Il ruolo dell’agente in queste condizioni apre grandi spazi all’interpretazione soggettiva. L’esercizio del comando e del controllo gerarchico sulle pattuglie in questa situazione è labile; lo sa bene il Commissario, che ne ha la responsabilità e che cerca di dare un orientamento, richiama la coesione di squadra, accetta l’esigenza di un atteggiamento anche molto deciso, ma puntualizza che si devono rispettare le regole.

Si può pensare che la donna (è breve, ma ficcante l’interpretazione di Jeanne Balibar) abbia voluto inserire il terzo poliziotto che arriva da fuori per prevenire o correggere alcuni eccessi che percepiva come un rischio incombente. Di fatto, l’equilibrio consolidato di una coppia di lunga esperienza, un capo e la sua spalla, un gioco, o una serie di gag, poliziotto cattivo-poliziotto buono, viene completamente alterato. Chris, a comando della pattuglia, si sente in dovere di intimidire subito quello che chiama ‘pomata’ per affermare il proprio ruolo senza equivoci. Così trascende, maltratta alcune ragazzine che aspettano l’autobus e distrugge il telefonino di colei che aveva tentato di filmarlo nel suo atteggiamento arrogante verso l’amica.

Quando il terzo uomo, seduto sul sedile posteriore, mostra una sensibilità diversa, più rispettosa delle regole ufficiali e manifesta il suo sconcerto, Chris deve imporsi con frasi come “se vuoi essere educato vai a fare il maggiordomo in un palazzo”; “abbiamo sempre ragione, niente scuse” e “qui la legge sono io”. La reazione di Gwada è meno diretta. Vedendo il capo messo in discussione, la sua sicurezza di 10 e più anni nel presidio di questo quartiere difficile è però scossa: è lui a compiere l’errore di colpire con il taser il giovane Issa. E qui, ancora una volta, oltre agli smartphone, c’è il drone.

Nell’era del digitale i vecchi metodi di una polizia abituata ad avere sempre ragione non funzionano più, come evidenziato da tanti episodi in tutto il mondo. Non c’è solo il caso George Floyd. Gli agenti hanno imparato a usare le tecnologie per le loro indagini; rintracciare chi ha preso il leone è molto facile: “Questi deficienti non possono fare una stronzata senza postarla in rete”.

Ma non hanno ancora del tutto realizzato quanto sono esposti. Quando si rendono conto che il drone ha filmato la scena, la reazione è ancora quella di distruggere il telefonino. “Se viene fuori il video siamo fregati tutti”, dice Chris, pensando di ricompattare così la coesione della squadra. Stéphane si trova allora in estremo imbarazzo, cerca di assistere il ragazzo ferito, ma contemporaneamente deve partecipare alla ricerca del drone e giocare tutte le sue risorse per evitare che la chiavetta con il file finisca nelle mani sbagliate: quelle dei criminali, ma anche dei giornalisti o dei magistrati.

Una tecnologia che spiazza tutti, ma non risolve

Ladj Ly, con i suoi co-sceneggiatori, è riuscito a rendere in modo mirabile il dramma di questi personaggi. Le riprese dall’alto del drone, con la verticalità degli alti caseggiati di periferia e l’orizzontalità delle vie percorse da questa automobile anonima, danno il senso di come la tecnologia alteri la situazione precedente e spiazzi i comportamenti di tutti i soggetti, le routine delle forze dell’ordine, le trame dei vari gruppi organizzati e gli stessi giochi dei ragazzi.

Ma la tecnologia non è il deus ex machina, la soluzione definitiva dei problemi che cade dall’alto: è un potenziamento esplosivo della soggettività dei vari attori, nessuno escluso. Senza un cambiamento dei comportamenti, una presa di coscienza, una diversa e nuova responsabilizzazione, non ci saranno vincitori e sarà il caos a dominare la scena.

La frase finale, ripresa da Victor Hugo, “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”, chiama in causa le istituzioni sociali. E qui, ancora ai tempi nostri, c’è un grande problema di organizzazione.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero 294, Luglio-Agosto 2020 di Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

I miserabili, Nahel, banlieue, drone


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Gianfranco Rebora

Gianfranco Rebora è Direttore di Sviluppo&Organizzazione, la rivista edita dalla casa editrice ESTE e dedicata all'organizzazione aziendale. Rebora è Professore Emerito di Organizzazione e gestione delle risorse umane dell’Università Carlo Cattaneo – Liuc di Castellanza.

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