Soldi_retribuzione_crescita

Salari, possiamo aumentarli in modo sostenibile?

L’Italia è al 12esimo posto in Europa per Pil pro capite ed è al 12esimo posto come salario medio mensile. Esiste quindi una forte correlazione tra retribuzione media e Pil pro capite: per esempio la Germania, con il 37% in più di Pil pro capite, ha il 34% in più di salario medio rispetto all’Italia; la Danimarca, con il 93% in più di Pil pro capite, ha l’82% in più di salario medio; la Spagna, con il 7% in meno di Pil pro capite ha il 9% in meno di salario medio.

Confrontando i salari medi con i Pil pro capite dei vari Paesi europei, si scopre che l’Italia è una delle realtà con le retribuzioni medie più alte rispetto al Pil pro capite. Infatti in Italia la retribuzione media annua (valore mensile per 12) è pari al 93,7% del Pil pro capite: in Spagna è l’81,3%, in Francia l’85,3%, in Austria l’82,9%, in Irlanda il 60,2%, in Svezia l’85,8%, nei Paesi Bassi il 74,9%. Solo la Germania ha un rapporto simile al nostro.

Se i salari dipendono dal Pil reale del Paese dovremmo quindi addirittura dirci che la nostra retribuzione media – confrontata con quella degli altri Paesi – è più alta di quella che potremmo permetterci. Se si considera che siamo oggi in tale situazione – nonostante siamo l’unico Paese europeo che in 30 anni ha registrato una riduzione del 2,9%, contro un aumento nello stesso periodo da parte di tutte le altre realtà – probabilmente tale nostra proporzione in eccesso era ancora maggiore in passato. Ma il problema ora è proprio la mancanza di incremento di tale retribuzione media, che è ferma dal 1990 (anzi è in calo). A fronte della nostra riduzione del 2,9%, gli altri Paesi dell’Europa occidentale in questi tre decenni l’hanno aumentata di circa il 30% (con punte superiori al 60% in Svezia e all’80% dell’Irlanda).

Aumentare il Pil pro capite dando valore al lavoro

La retribuzione media ha avuto nei vari Paesi aumenti proporzionali agli aumenti di Pil pro capite (a conferma della loro correlazione). È quindi gioco-forza affermare che i salari si possono aumentare solo aumentando il Pil pro capite, cioè attraverso un maggior valore aggiunto per ora lavorata (indice di produttività). È così che si spiega anche il motivo per il quale i nostri laureati possono essere pagati di più in numerosi Paesi esteri: qui il valore prodotto per addetto è decisamente superiore al nostro e quindi i dipendenti possono essere pagati di più.

Non si tratta di aumentare i volumi prodotti abbassando i costi (aumento dell’efficienza) e i prezzi di vendita. Prova ne sia che Francia e Germania hanno aumentato il loro Pil pro capite del 30% in più rispetto a noi pur avendo un costo del lavoro di circa 38 euro l’ora rispetto ai nostri 29 euro l’ora. E non ci si dica che potremmo avere gli stessi risultati aumentando la nostra efficienza del 30%, quando già i Paesi dell’Est Europa possono fare gli stessi prodotti con un costo orario del lavoro di soli 10 euro contro i nostri 29. Mai potremmo triplicare la nostra efficienza con tutte le automazioni possibili per raggiungere tale obiettivo. Peraltro la nostra produttività del lavoro è ferma al 1970 e non è neanche aumentata con tutte le automazioni e digitalizzazioni fatte (compresi i finanziamenti del programma Industria 4.0).

Occorre dunque aumentare il valore dei prodotti-servizi, non l’efficienza o il costo del lavoro. Su quest’ultimo aspetto non possiamo più competere, sia perché non possiamo ridurre le retribuzioni sia perché le eventuali automazioni possono farle anche i Paesi a minor costo del lavoro. E a chi ancora sostiene che per essere più competitivi dovremmo ridurre il cuneo fiscale, occorre far notare che i pochi punti di possibile recupero a riguardo farebbero ben poca differenza (e sarebbe un recupero comunque a carico della collettività che dovrebbe trovare altrove introiti sostitutivi).

Si noti, peraltro, che i contributi sociali aziendali sulla retribuzione dei dipendenti in Francia sono superiori del 12% rispetto ai nostri (e quelli del lavoratore del 5%) e nonostante ciò, Parigi ha aumentato il Pil pro capite del 30% negli ultimi 30 anni rispetto a noi. In totale la somma dei contributi sociali (azienda più lavoratore, rapportati a uno stipendio netto pari a 100 euro), rappresenta in Italia circa il 60% contro il 68% della Germania e il 78% della Francia (dati Ocse-Confindustria). Non possiamo quindi affermare che abbiamo oneri sociali superiori ai Paesi con cui competiamo. Più in generale, considerando anche le tasse sul reddito trattenute in busta paga al lavoratore, a fronte di uno stipendio netto di 100 euro, il costo totale del lavoro in Italia è pari a 190,8 euro, in Francia 197,2 e in Germania 199,2 (in Spagna è 166 e nel Regno Unito 148).

Puntare all’aumento della produttività

Non c’è alternativa: per aumentare i salari occorre aumentare la produttività, cosa che farà aumentare il Pil reale pro capite e consentirà di avere i margini per gli aumenti degli stipendi. Ciò richiede un cambiamento nelle strategie industriali del Paese. In realtà l’Italia non ha mai avuto vere strategie industriali e comunque non ne vediamo nelle attuali proposte del Governo e dei partiti di opposizione (se non quelle mutuate dalle strategie dell’Europa, che per definizione, essendo uguali, non potranno farci recuperare i gap rispetto agli altri Paesi).

L’Italia ha potenziali vantaggi competitivi unici e differenzianti non sfruttati. Il continuo riferimento al Made in Italy, così come è oggi inteso, è a tal riguardo fuorviante. Il valore aggiunto delle nostre filiere Fashion e Prodotti di lusso è, infatti, consolidato in maggior parte all’estero dalle multinazionali che ne gestiscono il prodotto finito (la parte Manufacturing remunerata in Italia rappresenta una fetta limitata, rispetto al prezzo del venduto che va nelle casse delle multinazionali). Le indubbie capacità delle nostre Piccole e medie imprese (PMI) non sono sufficienti ad aumentare i volumi di fatturato e Pil nelle quantità necessarie (anzi il Pil reale del Manufacturing è addirittura in calo). Nonostante alcune eccellenze, le PMI non riescono ad alimentare livelli di innovazione in quantità sufficiente per aumentare il Pil pro capite attraverso l’aumento del valore prodotto. Occorrono strategie ad hoc, come hanno fatto (e fanno) i Paesi concorrenti.

servitizzazione, aumento salari, Pil pro capite


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Giorgio Merli

Giorgio Merli è autore di numerosi libri e articoli sul management pubblicati in Europa e negli Usa; è consulente di multinazionali e Governi, oltre che docente in diverse università in Italia e all’estero. È stato Country Leader di PWCC e di IBM Business Consulting Services

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