Se il Pnrr diventa il reddito di cittadinanza delle aziende
La situazione di scenario di business, generatasi a seguito della pandemia da Covid-19, della emergenza energetica e della guerra in Ucraina, sta chiaramente mettendo a nudo le debolezze del sistema economico e produttivo che già caratterizzavano l’Italia. Non si può cercare di mantenere attivi, a tutti i costi, settori e aziende che già non si dimostravano competitive nel precedente – più semplice – scenario.
Come ben si sa, nelle imprese, quando si è in situazione di rischio di sopravvivenza, occorre fare scelte imprenditoriali, concentrandosi su poche priorità. In momenti di difficoltà non si può usare la logica della riduzione dei budget di investimento generalizzato su tutte le funzioni-attività, ma soprattutto occorre individuare quelle ‘poche cose’ che possono far resettare l’azienda su posizioni meglio difendibili e più competitive. È su di esse che devono essere concentrati gli investimenti e gli sforzi in modo mirato, non disperdendoli su troppi fronti. Così si farebbe anche in un contesto bellico di situazione critica per uscire da una configurazione di logoramento non sostenibile nel tempo.
In tale scenario, ci si assume il rischio di decidere quali sono le priorità (occorrono ovviamente anche capacità di visione strategica), se ne individuano gli obiettivi strategici e se ne fa il relativo deployment (individuazione dei goal, dei target causali e delle relative necessarie azioni) e si concentrano infine su di esse le risorse disponibili (finanziarie e manageriali).
Quando si è in situazione di rischio di sopravvivenza, occorre però avere la garanzia di riuscire anche a superare i problemi di breve termine. Un corretto piano aziendale è quello che contempla contemporaneamente (e non attraverso piani diversi) adeguati obiettivi di breve, medio e lungo termine. Con una analogia edile si dovrebbe avere un piano che prevede il posizionamento dei mattoni di breve termine (per le urgenze), già allocati in modo da costruire i muri necessari per l’aumento della competitività nel medio termine, dove questi devono già costituire le basi per il perseguimento degli obiettivi strategici. Il costruire dal basso e dal ‘di dentro’ la strategia, consente di poterla modificare a secondo delle contingenze e delle differenze rispetto a quanto si era previsto, riallineando le azioni in essere, evitando quindi avere piani e azioni ‘strabiche’ e non sinergiche.
Individuare gli obiettivi e allocare le risorse
Nel momento in cui si ragiona a livello di piano nazionale (e quindi attualmente con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Pnrr), nell’attuale situazione critica, non ci si può esimere dall’avere un approccio come quello appena descritto. Ciò comporta la presenza di due requisiti fondamentali: l’individuazione di obiettivi strategici, comprensivi della fase di realizzazione, e una allocazione mirata delle risorse.
Purtroppo non pare di vedere applicati tali principi nella attuale stesura del Pnrr: ci sono chiare linee politiche e strategiche, ma manca il deployment per obiettivi strategici in cascata; non si capisce inoltre come le risorse finanziarie potranno essere allocate per priorità sui principali driver di aumento del valore del Prodotto interno lordo. Mi pare di capire che siano previsti importanti interventi sui fattori abilitanti (strutture, Reti, ecc..), ma non ci sono i driver di breve e medio termine.
Se in situazioni più tranquille, tale tipologia di approccio può essere sufficiente – in quanto aiuta a sviluppare il sistema economico nella giusta direzione – oggi servirebbero leve più concrete ed efficaci per attivare una veloce reazione. Gli interventi strutturali, per esempio quelli previsti per migliorare la fruizione dei servizi turistici italiani, daranno i loro effetti fra qualche anno, ma il nostro business turistico sta perdendo posizioni ogni anno e sta succedendo adesso. Ecco perché non possiamo aspettare. Il Turismo è l’unico business su cui abbiamo indiscussi vantaggi competitivi e invece non riusciamo a valorizzarlo rispetto ai Paesi concorrenti, che purtroppo ci stanno via via scavalcando nel ranking mondiale: sembra quasi impossibile, viste le ricchezze dell’Italia, ma ciò è una prova anche della mancanza di efficaci piani strategici e operativi a riguardo.
Alle imprese servono piani specifici per lo sviluppo
Se ci riferiamo all’industria manifatturiera (molto importante nel nostro Pil) possiamo riscontrare una situazione molto simile. La cosa certa è che non possiamo più permetterci di avere solamente piani di supporto allo sviluppo generalizzati e generici. Non possiamo riproporre ora un approccio come quello del precedente piano Industria 4.0, che incentivava le aziende a digitalizzarsi, qualunque fosse il loro settore e qualunque fosse il livello delle loro value proposition. Di fatto era una sorta di ‘reddito di cittadinanza’ per le imprese, usufruibile da chiunque, purché si dimostrasse di investire in digitale.
Ai tempi dell’introduzione dei primi sistemi IT si diceva che l’informatizzazione avrebbe sicuramente accelerato lo sviluppo delle aziende competitive, ma che avrebbe anche accelerato a mettere ‘fuori gioco’ le aziende non competitive, che comunque già prima vivacchiavano nella lentezza della reazione di mercati non informatizzati. Tale concetto vale oggi ancora di più nel contesto del business digitale, dove le differenze sono premiate o ‘giustiziate’ in tempo reale.
È proprio negli investimenti digitali che andrebbero supportate e premiate, specialmente, le aziende che hanno maggior potenziale competitivo e innovativo. Si dovrebbero, per esempio, prioritariamente finanziare solo progetti di innovazione o meglio quelli per l’aumento del valore della value proposition. Ciò consentirebbe di dare un overboost alle imprese più innovative che potranno essere i driver di sviluppo già nel breve-medio termine, operando in modo digitalizzato nei nuovi ecosistemi di business digitale. Occorre assolutamente evitare di finanziare settori e aziende già potenzialmente decotte: serve, infatti, ricordare che il problema del basso e calante Pil pro capite dell’Italia non si risolve aumentando l’efficienza, ma il valore di ciò che è acquistato dal mercato. Sempre tornando al caso del Turismo, pare scandaloso che il ticket medio di un turista in Italia sia inferiore a quello di uno in Germania: c’è qualcosa che non va…
Finanziare ‘chi se lo merita’ presuppone ovviamente capacità di valutazione da parte delle agenzie statali che oggi sono, invece, molto scarse. Ma non si può certo continuare ad accettare che i soldi siano immessi nel sistema senza neanche riuscire a capire dove vadano realmente a finire e, molto spesso, finiscono in rivoli inutili e neanche tanto ortodossi. Occorre sicuramente spendere un po’ di soldi del Pnrr per attivare anche le necessarie capacità di valutazione da parte delle agenzie.
Inoltre dovremmo pretendere veri piani con chiari obiettivi e con il relativo deployment. Non sono sufficienti i piani finanziari, in cui probabilmente l’attuale Governo ha buone capacità. Occorrono piani industriali e realizzativi monitorabili e reindirizzabili nel durante, non da valutare ex post (quando ormai è troppo tardi). Sappiamo bene che oggi le aziende non si possono più gestire solo su base budgetaria e controllo di gestione: una cosa è la gestione, altra cosa è il suo controllo. Tanto più se si è in situazioni di forte fluidità, nelle quali le imprese – e questo lo sanno bene – non possono più attendere le revisioni dei budget per prendere le necessarie decisioni.
digitalizzazione, manifattura, produzione, Pnrr, strategia