Se il Remote working fa perdere potere ai manager

Il lockdown ha dimostrato che i dipendenti conoscono bene i propri compiti e sono più autonomi di quanto si possa pensare.

Lo Smart working ha indubbiamente tanti pregi. Nell’era della pandemia di Covid-19 è il modo migliore per proteggere la salute dei dipendenti, rendendo, allo stesso tempo, meno gravoso per le aziende il compito di garantire la sicurezza anti-contagio del personale. In generale, permette all’impresa di economizzare sui costi degli spazi lavorativi.

Secondo molti esperti, è anche più efficiente perché ci sono meno occasioni per le interruzioni. Lato personale, permette di risparmiare il tempo sugli spostamenti, migliorando l’equilibrio tra la vita privata e quella professionale, e viene apprezzato dai dipendenti perché li fa sentire più autonomi.

Eppure, sia diversi manager sia alcuni membri dei team di lavoro non vedono di buon occhio la totale remotizzazione del loro lavoro. Lo ha dimostrato uno studio sul telelavoro in Francia durante il lockdown della primavera 2020 svolto da René Bancarel, dottorando in Scienze gestionali e di management all’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne. La ricerca ha esaminato, in particolare, il lavoro dei dipendenti amministrativi delle università pubbliche e private.

Durante il primo lockdown i datori di lavoro hanno realizzato con stupore che i dipendenti sono riusciti a essere efficienti anche lavorando da remoto, anzi, in alcuni casi sono stati più performanti che lavorando in presenza. Eppure, appena è stato possibile, tanti manager hanno preferito tornare al lavoro in presenza. Questo, spiega la ricerca, perché il management intermedio ha sentito che il suo ruolo di controllo dell’attività del personale è stato messo in discussione, visto che la supervisione diretta durante il lavoro da remoto è impossibile.

Dal controllo alla collaborazione da remoto

L’esperienza del telelavoro durante il lockdown ha dimostrato che i dipendenti conoscono benissimo i loro compiti e sono più autonomi di quanto si possa pensare. Per quanto riguarda il rapporto con i manager, questo si era digitalizzato già da tempo. A volte i membri del team passavano la giornata senza mai aver visto il loro capo e dunque per alcuni lavoratori il Remote working ha cambiato poco la loro organizzazione. Quindi, conclude lo studio, il ruolo dei manager nelle aziende che sono state oggetto d’esame non consiste nella supervisione diretta e solo coloro che non se n’erano resi conto sono stati spaventati dal passaggio al lavoro a distanza.

D’altro canto, anche tra i dipendenti ci sono quelli restii a lavorare da remoto. Contrariamente a quello che si possa pensare, i giovani non sono del tutto entusiasti riguardo allo Smart working, nonostante siano tra i più disinvolti nell’uso degli strumenti digitali. Questo si spiega con motivi più o meno soggettivi: vorrebbero conoscere il mondo dell’impresa oppure crearsi una rete professionale. Conta anche il disagio abitativo delle grandi città dove spesso gli uffici spaziosi sono preferibili ad abitazioni ristrette.

A prescindere dai vantaggi o dagli svantaggi del Remote working, resta il grande interrogativo sulla disuguaglianza creata dal telelavoro rispetto ai lavoratori di ‘seconda linea’ (quelli della prima linea sono i medici), ossia coloro che esercitano mestieri vitali per la società, ma non remotizzabili, conclude lo studio.

Fonte: The Conversation

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Anna Lesnevskaya

Giornalista professionista dal 2015, da sette anni collabora con varie testate sui temi legati alla Russia e all’Europa dell’Est. Dal 2013 scrive sulle tematiche ebraiche per i canali di comunicazione della Comunità ebraica di Milano. Nel 2016 ha avuto una parentesi giornalistica in Francia come stagista presso il settimanale La Vie del gruppo Le Monde e nel 2015 ha fatto parte del team dell’ufficio stampa del Media Centre di Expo Milano. Nel 2014 ha scritto anche per Lettera43.it. È stata allieva della Scuola di giornalismo Walter Tobagi dell’Università Statale di Milano (biennio 2012-14). Prima di trasferirsi in Italia, si è laureata in Lingua italiana e Letterature Europee presso l'Università Statale di Mosca M.V. Lomonosov nel 2011.

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