Se la promozione a manager rischia di perdere le persone
Crescere professionalmente spesso significa diventare manager, ma non tutti desiderano intraprendere questa carriera. Abbracciare questa traiettoria per chi eccelle a livello individuale, ma non è così sicuro di poter guidare un team, può rivelarsi un’esperienza spiacevole che allontana le persone dal lavoro che amano per portarle invece in una dimensione nella quale rischiano di sentirsi isolate, inesperte e che addirittura non sopportano.
Per questa ragione, diversi esperti stanno esaminando nuovamente se il percorso professionale tradizionale sia l’approccio giusto per tutte le persone. Ciò significa analizzare come si possano supportare, all’interno di un’azienda, lavoratori eccellenti che non vogliono progredire nella direzione di diventare manager e assicurarsi allo stesso tempo che essi possano rifiutare una promozione senza compromettere le proprie prospettive di carriera.
Dal punto di vista di Máire Kerrin, Direttrice e Fondatrice del Work psychology group, società di consulenza per il business con sede a Derby, nel Regno Unito, la maggior parte delle professioni tende a legarsi a un modello piuttosto limitato di che cosa sia la carriera e quasi sempre è inquadrata nell’assunzione di più responsabilità o nella supervisione di team. E questo è un aspetto che le aziende dovrebbero valutare con attenzione.
D’altra parte una persona competente e capace, che ottiene soddisfazioni dal proprio ruolo, sembra una scelta logica per una promozione. E per molti una promozione rappresenta l’unica via per aumentare il proprio stipendio o la propria posizione: nell’accettarla dunque si è spesso spinti da fattori che poco hanno a che fare con la mansione in sé e si legano piuttosto a retribuzioni, indennità, visibilità e potere. Ma ci sono sempre state persone che si impegnano nel loro lavoro pur vivendo l’idea di un ruolo manageriale come profondamente sgradevole. A completare il quadro, c’è anche chi, pur non essendo totalmente contrario ad assumere un ruolo di gestione, desidera esplorarlo con prudenza, per valutare se si tratti o meno della posizione giusta per le proprie caratteristiche.
L’IT segna la strada maestra
Una componente essenziale in questo scenario è il supporto che chi ricoprirà il ruolo di manager dovrebbe ricevere. Per molti questo non avviene: una ricerca del Chartered institute of personnel and development (Cipd), con sede nel Regno Unito, ha mostrato che solo il 40% circa dei manager di linea riceve una formazione specifica di leadership. Questo aumenta, chiaramente, il rischio di fallire. “Il manager di linea è il fulcro della cultura organizzativa. Il pericolo che sia inesperto o stressato è che passi quell’inesperienza e quello stress lungo la linea, fino a rendere questi elementi parte della cultura organizzativa”, ha commentato a questo proposito Ben Willmott, a capo delle politiche pubbliche presso il Cipd.
Inoltre, tornare indietro non è così semplice. Nel peggiore dei casi, le competenze che originariamente hanno reso quella persona così preziosa tanto da meritarsi la promozione a manager sembrano sparire del tutto per l’azienda. Promuovere dipendenti che non sono particolarmente interessati al ruolo e poi non riuscire a sostenerle spesso significa, come ha fatto notare Kerrin, spingerle indirettamente a lasciare l’azienda, un rischio che per molti diventa una realtà. Per questo, ritiene l’esperta, le organizzazioni stanno iniziando a pensare seriamente a come incentivare le persone di valore che non vogliono seguire la tradizionale scalata di carriera: “Le organizzazioni stanno iniziando a riconoscere che potrebbero esserci altri modi con cui possono dare il loro contributo all’azienda, nella quale stanno ancora imparando e crescendo”. Concentrarsi sulla progettazione di posti di lavoro intorno alle persone e ai loro punti di forza potrebbe, insomma, ribaltare lo scenario.
Il mondo della tecnologia è forse il più affine a questo canovaccio, con aziende che sviluppano percorsi individuali per le persone che vogliono crescere all’interno dei confini del loro ruolo, ma non vogliono gestire un team. Restano, però, una minoranza: l’idea di percorsi di carriera non tradizionali è ancora un’area in via di sviluppo per le imprese. Per Willmott, prendere in considerazione questo aspetto per un’azienda dipende in parte dal valore delle competenze della persona in questione e in parte da quanto l’impresa sia desiderosa di mantenere queste competenze. Si tratta, poi, di fare un passo indietro e valutare l’idea di muoversi in modo diverso nei confronti di chi sa fare bene il proprio lavoro, ma è felice dove sta. Il trucco per le aziende, ha fatto notare Willmott in un confronto con la BBC, è garantire che un lavoro non manageriale non sia sempre visto come un vicolo cieco ma possa, per la persona giusta, portare a opportunità di progressione che possano funzionare per tutti.
Fonte: BBC
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.
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