Smart running, correre ai tempi del coronavirus
Il coronavirus sta sconvolgendo le nostre vite. Di certo quelle di chi è stato contagiato dal covid-19. Ma direi pure di chi è (ancora) sano. Il Nord Italia è considerato l’untore mondiale di un virus che non è ‘nato’ da noi, ma che (forse) abbiamo contribuito a diffondere. E in questo caso il movimento podistico ne è stato pienamente coinvolto.
Il paziente 1, non si dimentichi, è un runner. E questo ha distrutto ogni mia certezza di podista. Nel giorno in cui l’Italia si è ritrovata immersa nel dramma del coronavirus, avevo lanciato la sfida al virus dall’alto del mio status di runner, che si traduce in un buono stato di salute certificato da accurati esami di medicina sportiva almeno una volta l’anno.
Sapere di condividere la stessa passione con il paziente 1 – cui mi sento ideologicamente legato perché condividiamo l’età, ma pure gli stessi tempi sulla maratona e mezza maratona – mi ha trascinato in un vortice di incertezze sulla mia immaginaria resistenza a qualsiasi agente patogeno. Perché finché il coronavirus miete vittime tra i soggetti ‘deboli’, statisticamente a rischio a ogni influenza, siamo di fronte a uno scenario etichettabile come ‘normale’; se poi dovesse uccidere anche chi cura la propria forma fisica, allora i contorni del fenomeno si potrebbero fare preoccupanti. Per fortuna gli ultimi dati e le informazioni più recenti sembrano andare nella direzione del ridimensionamento del problema: non è un raffreddore, ma neppure la peste. E a quanto ne so, il paziente 1 pare stare meglio.
Intanto sono tantissime le persone tappate in casa a seguito delle direttive del Governo che (forse) ha sovrastimato la situazione, mettendo di fatto in quarantena tutti i cittadini del Nord Italia. Siccome business never sleeps, è stato ‘liberalizzato’ lo Smart working, la cui applicazione nelle zone a rischio è più semplice rispetto al passato. Chi può, dunque, lavora da casa, perché è fatto divieto di frequentare i luoghi di aggregazione tipici dello Smart working.
Correndo all’alba sul Naviglio a Milano, m’è sorto il dubbio che anche tra i runner la psicosi da coronavirus abbia fatto breccia. Domenica mattina – poco prima che fosse lanciato l’allarme e fossero decise le drastiche misure per contenere la diffusione del covid-19, il Naviglio era affollato di podisti, complice anche l’annullamento di numerose gare nelle zone limitrofe della città. Giovedì, invece, la situazione era del tutto opposta: nei miei classici otto chilometri feriali ho incrociato meno di cinque intrepidi runner; il primo addirittura dopo oltre metà allenamento.
Sfidando ogni direttiva ministeriale, con un runner che incontro spesso ho pure percorso qualche chilometro, ma stando a debita distanza – ci ha sempre separato l’intera distanza della sede stradale! – perché fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio…
Non volendo credere che tutto il movimento podistico sia tappato in casa a causa del virus, ho pensato che forse i più lungimiranti hanno iniziato a fare… Smart running! E così ho immaginato schiere di runner impegnati a casa sul tapis roulant – le palestre, d’altra parte sono chiuse – per non perdere il ritmo e proseguire gli allenamenti in vista delle prossime gare. Non potendo utilizzare il tapis roulant e per non sentirmi troppo in colpa con me stesso dopo aver dato forfait alla Maratona (qui ammetto di aver approfittato del coronavirus per avere l’alibi), sono uscito nel buio dell’alba. Per me lo Smart running può attendere.
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