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Smart working è produttività, i dipendenti ‘agili’ sono più ingaggiati ed efficienti

Altro che strumento di conciliazione vita-lavoro: lo Smart working è una leva per favorire all’interno delle aziende nuovi modelli organizzativi e nuove dinamiche. Allo stesso tempo, permette a ciascun lavoratore di svolgere la propria attività al meglio, aumentando così engagement e produttività.

Oggi in Italia si contano circa 600mila ‘Smart worker’ e la possibilità di rientrare in questa platea è ormai un elemento decisivo per i giovani talenti che muovono i primi passi nel contesto professionale. La sfida, per le imprese, è quella di capire che in gioco c’è la propria crescita.

Il tema è stato al centro del convegno Smart working e produttività del 14 novembre 2019 a Cassina De’ Pecchi, in provincia di Milano, terzo e ultimo appuntamento del ciclo di incontri sul lavoro agile promosso da ESTE insieme con Be. L’obiettivo è andare oltre l’idea di Smart working come mera iniziativa di welfare aziendale.

A ogni attività il proprio spazio

A darne una dimostrazione è stato, per esempio, Giovanni Bevilacqua, Head of Smart Working, Energy & Innovation di UniCredit. Il gruppo bancario ha iniziato il proprio percorso verso l’implementazione del lavoro agile nel 2008: oggi prevede per 7mila dipendenti la possibilità di lavorare per un giorno a settimana da casa o da uno dei City Hub allestiti appositamente nelle città in cui l’azienda è presente con una sede.

Ma anche le sedi stesse sono state ripensate in ottica ‘smart’, seguendo due concetti chiave: il desk sharing e l’activity based working. Tradotto: via le postazioni fisse (che dal monitoraggio eseguito da UniCredit sono risultate inutilizzate per il 28%), sostituite da quattro tipi di worksetting diversi in cui stabilirsi di volta in volta in base all’attività da svolgere (lavoro individuale, di gruppo, telefonata o riunione, socializzazione).

Queste modalità tengono conto anche dei diversi stili di lavoro dei dipendenti, i quali, a seconda del ruolo, trascorrono più o meno tempo fuori sede. “Smart working significa scegliere consapevolmente quando lavorare da remoto e quando in prossimità e in quale degli spazi messi a disposizione”, illustra Bevilacqua.

A livello di relazione tra azienda e personale, il lavoro in modalità agile si traduce in una maggiore responsabilizzazione del dipendente, che si sente investito della fiducia accordatagli dai suoi superiori: questi ultimi, pur non potendolo controllare, si dovrebbero fidare del fatto che il dipendente svolgerà regolarmente il proprio lavoro anche da remoto. Come mostrano le testimonianze sul campo, ciò porta il lavoratore a un maggiore engagement e a una maggiore produttività.

Dal controllo all’ingaggio

Il focus, infatti, si sposta dal numero di ore trascorse in ufficio al numero di obiettivi raggiunti. “Bisogna passare dal controllo all’ingaggio. Non è semplice, si tratta di cambiare mindset”, spiega Andrea Marchioro, HR Director di Mitsubishi Electric Hydronics & It Cooling Systems, che ha avviato una sperimentazione di Smart working – possibilità di lavoro da casa, da strutture esterne o da coworking da uno a tre giorni alla settimana – nel quartier generale di Bassano del Grappa (Vicenza).

Protagonisti del progetto sono 100 dipendenti di specifici settori il cui ruolo sia compatibile con lo Smart working, che abitino lontano dalla sede e che presentino esigenze familiari o fisiche specifiche, ma l’obiettivo è di arrivare a breve a coinvolgere anche altri uffici per un totale di 350 lavoratori.

Per il momento i risultati sono positivi: oltre alla crescita del livello di soddisfazione, è aumentato l’indice di produttività (+13%), si sono ridotti gli errori (-3,7%) e c’è una spinta maggiore alla pianificazione delle attività e all’individuazione di processi e obiettivi.

A condividere la stessa visione è anche Marta Piccini, Human Resources di Copan Italia, azienda bresciana specializzata nella produzione di materiale plastico per laboratori. “Copan è stata una delle prime aziende del Bresciano ad attivare lo Smart working, perché aumenta la produttività, il coinvolgimento e la fiducia dei collaboratori, oltre a conciliare meglio incombenze personali e vita lavorativa ed eliminare le interruzioni dei colleghi e i tempi di trasporto”.

Un tema, quest’ultimo, che ha un impatto anche sull’ambiente: tagliando gli spostamenti da e per il posto di lavoro, si riducono le emissioni inquinanti nell’atmosfera.

Attrarre talenti

E mentre spesso per le Piccole e medie imprese – o per comparti come il Manifatturiero – il lavoro agile rappresenta ancora una possibilità inesplorata, ormai le generazioni più giovani pretendono dalle aziende forme di flessibilità in termini di spazi e tempi lavorativi. “Attraverso lo Smart working si può vincere la sfida della talent attraction”, spiega Bevilacqua di UniCredit. “Lavoro agile, personalizzazione della employee experience e sostenibilità: i giovani talenti sceglieranno sempre più spesso di lavorare nelle realtà che seguono questi tre principi”.

Lo ha confermato anche Gianluca Tordi, HR Director Italy e Greece di Coty, multinazionale del settore beauty che conta una settantina di marchi: “In fase di colloquio i candidati ci chiedono esplicitamente dell’esistenza o meno di politiche di Smart working in azienda: non si può avere questo gap rispetto ai competitor. Oggi si fatica ad attrarre nuovo personale se non si prevede questa flessibilità”.

Attenzione alla sicurezza

Mettere in piedi un sistema di Smart working, però, non è una passeggiata. Servono regolamenti aziendali, formazione, accordi individuali, e – aspetto da non sottovalutare – informative specifiche su sicurezza e cybersicurezza.

Lavoro agile, infatti, non significa poter lavorare ovunque: gli spazi devono essere adeguati all’attività da svolgere e devono tutelare l’incolumità della persona. Così come la tecnologia utilizzata – dalla rete ai dispositivi elettronici – deve garantire la riservatezza delle informazioni e la protezione dei dati.

L’esempio arriva da Mitsubishi Electric Hydronics & It Cooling Systems che, complice la cultura giapponese della proprietà, ha grande attenzione per il tema della sicurezza: l’azienda, per esempio, ha vietato ai propri dipendenti di lavorare da remoto da bar e ristoranti. Non tutti i contenuti si possono inviare via email mentre su computer e cellulari aziendali sono vietate rispettivamente la navigazione in Rete e l’uso di applicazioni.

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Manuela Gatti

Classe 1993, nata e cresciuta nella provincia milanese, è laureata in Lettere presso l’Università Statale di Milano. A qualche anno di cronaca locale è seguito un biennio alla Scuola di Giornalismo Walter Tobagi di Milano, dove ha svolto il praticantato giornalistico. Giornalista professionista dal 2019, attualmente lavora come freelance a Milano, collaborando con quotidiani, siti e periodici nazionali.

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