Solo chi ha fiducia nei propri mezzi saprà ripartire
Con l’immediatezza dello sguardo di un bambino, le favole ci aiutano a comprendere significati profondi su cui, abituati come siamo a vivere sulla superficie, riflettiamo troppo poco.
C’è una favola che, meglio di ogni noioso trattato, ci lascia comprendere il senso della fiducia in sé stessi: è la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda. Se ancora non lo avete fatto, rileggetela ora, e soprattutto leggetela stasera ai vostri bambini all’ora di andare a letto.
Sfiliamo dalle loro mani lo smartphone e narriamo con la nostra voce la storia di Fortunata, abbandonata ancora nell’uovo su di un balcone dalla mamma prima che morisse di peste nera dei gabbiani causata dall’inquinamento da petrolio in mare.
La gabbiana l’affidò al gatto Zorba che su quel balcone ci abitava, facendosi promettere solennemente che si sarebbe preso cura del piccolo e gli avrebbe insegnato a volare. Fortunata crebbe convinta che Zorba fosse sua madre, si sentiva più gatto che gabbianella e non pensava affatto a volare.
Ma Zorba e i suoi compagni gatti sapevano bene che volare è una decisione molto personale e aspettarono il momento giusto per farle spiccare il primo volo. Il gatto Diderot, che ben aveva studiato sui manuali le tecniche del volo, diresse le operazioni di volo.
Per 17 volte Fortunata tentò di spiccare il volo, ma inesorabilmente ripiombò a terra. Aveva le ali, ma era proprio il sentirsi ‘una buona a nulla’ a impedirle, contro la sua stessa natura di uccello, di planare sull’aria.
Fino a quando Zorba, messo da parte Diderot con la sua scienza, chiese l’aiuto di un umano (un poeta), la condusse su di un campanile e le miagolò nell’orecchio: “Ora volerai. Il cielo sarà tutto tuo, vola!”.
Liberarsi dalla paura del giudizio altrui
Nessuna istruzione, nessuna procedura, solo una carezza sulla zampetta in equilibrio sulla balaustra e Fortunata spiccò il volo. La fiducia in noi stessi dispiega le nostre ali, ci spinge a diventare ciò che veramente siamo, rendendoci liberi dalla paura di non essere all’altezza del compito.
Ali che ci liberano anche da una paura ancora più devastante: quella del giudizio altrui, una dipendenza psicologica che, da bambini come da adulti, ci rende ostaggio degli altri. Quante volte nella vita aziendale non abbiamo avuto sufficiente fiducia nei nostri mezzi, nella possibilità di essere ascoltati dal nostro capo e dai colleghi, nella capacità di essere assertivi e d’intervenire con la nostra idea in una riunione importante? O nell’impresa stessa di raggiungere un obiettivo che non percepiamo alla nostra portata?
La favola c’insegna anche che non è dai manuali o dall’applicazione di una tecnica che possiamo apprendere ad aver fiducia in noi stessi. “Vola solo chi osa farlo”: bisogna leggersi nel cuore e lì trovare il coraggio. Perché fiducia in sé e coraggio sono fattori simbiotici, l’uno non può esserci senza l’altro. Ci vuole coraggio a credere in sé stessi e lanciarsi nell’agire.
Ci vuole coraggio a vedere il proprio futuro come avventura, apertura positiva verso le cose che verranno, orizzonte di opportunità e non minaccia. Non è questione di allenamento o di apprendimento, perché la fiducia non è una competenza, ma un sentimento personale e profondo alla radice delle competenze: un sentire che avverti ‘sull’orlo del baratro’, proprio quando le difficoltà si moltiplicano, si tocca il fondo buio delle situazioni della vita e sei chiamato a decidere se scappare o combattere.
È accaduto a tutti, ed è stato il detonatore per aprirci il varco di una leadership personale di cui non pensavamo di essere capaci. Dispiego le mie ali quando mi espongo, faccio un passo avanti mentre i miei colleghi ne fanno uno indietro; quando decido di giocarmi la palla, mentre gli altri s’impegnano a come scansarla; quando dico con franchezza la mia se i colleghi tacciono.
Con la fiducia nel cuore, ogni volta che mi prendo la responsabilità di ciò che ho fatto, dell’errore commesso, e non cerco alibi fuori di me, batto le ali con energia e plano sui tetti dell’organizzazione. Non leggiamola solo stasera ai nostri bambini questa favola. Portiamola domani stesso in azienda e leggiamola ai nostri capi e ai nostri colleghi.
Laurea in filosofia, Francesco Donato Perillo ha maturato una trentennale esperienza in Italia ed all’estero nella Direzione del Personale di aziende del Gruppo Finmeccanica (Alenia, Selex, Alenia Marconi Systems, Telespazio). Dal 2008 al 2011 è stato Direttore Generale della Fondazione Space Academy per l’alta formazione nel settore spaziale.
Docente a contratto di Gestione delle Risorse Umane all’ Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e formatore manageriale della Luiss Business School, è autore dei libri: La leadership d’ombra (Guerini e Associati, Milano 2005); L’insostenibile leggerezza del management-best practices nell’impresa che cambia (Guerini e Associati, Milano 2010); Romanzo aziendale (Vertigo, Roma 2013); Impresa Imperfetta (Editoriale scientifica, Napoli 2014), Simposio manageriale – prefazione di Aldo Masullo e postfazione di Pier Luigi Celli, (Editoriale scientifica, Napoli 2016).
Cura la rubrica “Impresa Imperfetta” sulla rivista Persone&Conoscenze della casa editrice Este. Editorialista del Corriere del Mezzogiorno (gruppo Corriere della Sera).
ambiente di lavoro, autorealizzazione, fiducia in se stessi, leadership personale