Tempo di nuove relazioni sindacali
Dopo 15 mesi di trattative, è stato firmato il nuovo Contratto collettivo nazionale dei Metalmeccanici. Il contratto aggiorna e rivede il sistema di inquadramento professionale, risalente al 1973, per tener conto dei profondi cambiamenti dei modelli di organizzazione del lavoro. L’aggiornamento è considerato necessario “con particolare riferimento alla evoluzione dei mercati e delle imprese, alla crescente digitalizzazione e alle ulteriori evoluzioni connesse a Industria 4.0”, che comportano una trasformazione della prestazione lavorativa e delle professionalità.
L’Italia non cresce più da almeno 20 anni: siamo in una situazione difficile che affonda le radici non solo nel recente passato, ma anche in alcune caratteristiche di fondo del nostro sviluppo economico. Di questo progressivo ristagno, che ci sta conducendo al declino economico, sono state individuate molte cause sia nel settore pubblico (per esempio lentezza della giustizia civile, Pubblica amministrazione, elevato debito pubblico) sia nel sistema privato (per esempio il nanismo delle imprese, la bassa marginalità di molti settori produttivi, la scarsa connettività).
Ma è indubbio che vi sia anche una sorta di male oscuro dentro le imprese, che riduce la capacità di ripresa e di rilancio del sistema e che erode le capacità competitive sui mercati. Le cause di questa debolezza sono indicate da più parti nella scarsa propensione alla innovazione delle nostre imprese e nella debole crescita della produttività media del sistema (si vedano anche gli studi della Banca d’Italia). A questi due fenomeni crescenti negli ultimi decenni, vengono anche collegate non solo la scarsa diffusione delle innovazioni tecnologiche più moderne di tipo digitale, ma anche la lentezza e le difficoltà nel processo di internazionalizzazione.
Innovazione tecnologica, cambiamenti organizzativi e internazionalizzazione sono processi, come noto, strettamente collegati, poiché l’apertura ai mercati mondiali e la diffusione delle catene del valore globale implicano un’adozione elevata e diffusa non solo di nuove tecnologie ma anche di forme organizzative nuove e diverse dalla tradizione fordista, come applicata in Italia.
Fortunatamente, negli ultimi anni abbiamo visto un notevole sforzo di ripresa e di innovazione da parte di molte imprese. Dopo la crisi finanziaria del 2008- 2013 una parte del sistema, seppure minoritaria, ha accelerato il cambiamento e l’innovazione tecnico-organizzativa, recuperando nelle produzioni di alta qualità e di elevata specializzazione, soprattutto nei settori della meccanica di precisone, delle macchine utensili, di alimentare, chimico e farmaceutico, della moda.
Queste imprese innovative hanno trainato una ripresa parziale, ma dinamica e di successo, soprattutto con la crescita dell’export sino al 2019. A partire dal 2016, anche il piano del Governo, noto come Industria 4.0 (poi Impresa 4.0), basato su incentivi fiscali per l’acquisto di tecnologie digitali e di automazione, ha contribuito ad accelerare notevolmente l’innovazione, soprattutto nelle imprese medie e grandi, e in misura minore nelle piccole.
Tuttavia il nostro punto debole rimane il fatto che questa ripresa e rinnovamento ha riguardato solo una parte minoritaria del sistema delle imprese, valutato tra il 25 e il 40% del totale. La parte restante continua a operare con modelli di business tradizionali, più orientati alla competizione sui costi che sull’innovazione e sulla qualità elevata. Questa arretratezza si ripercuote sul Pil, sulla qualità dell’occupazione e del lavoro e sulla debolezza della crescita complessiva del Paese.
Il post pandemia e il nuovo corso dell’Europa
La pandemia ha messo in evidenza sia le debolezze del sistema paese, per esempio nella sanità e nel sistema istituzionale, sia le criticità del sistema produttivo, non solo frammentato e squilibrato, ma anche in parte arretrato negli aspetti tecnologici e organizzativi. Per i prossimi mesi c’è grande preoccupazione per la tenuta di molte piccole e medie imprese. Soprattutto quelle che non si sono innovate, che non hanno l’export come uscita di sicurezza, che hanno una struttura finanziaria debole e sono poco capitalizzate. Una loro crisi produrrebbe impatti occupazionali ed economici molto gravi e senza precedenti, generando una crisi sociale in aggiunta alla crisi sanitaria.
Tuttavia, la pandemia ha condotto anche ad alcune esperienze e soluzioni che potrebbero essere molto positive per il futuro. In primo luogo si è sviluppata nel 2020, e continua tuttora, una nuova cooperazione tra i dirigenti aziendali e le rappresentanze sindacali per applicare i protocolli sanitari necessari in ciascun luogo di lavoro. L’obiettivo comune è di trovare nuove soluzioni tecniche, di orario e organizzative per garantire la continuità delle attività aziendali in sicurezza, anche nelle ondate successive della malattia. Ciò ha consentito alle imprese di riprendere il lavoro dopo il lockdown della primavera 2020 e di continuare l’attività in sicurezza per tutti questi mesi ancora di pandemia.
In secondo luogo la diffusione pervasiva del lavoro a distanza per i ruoli tecnici e impiegatizi ha fatto sperimentare un nuovo modo di organizzarsi e di lavorare con le tecnologie digitali, centrato sull’assegnazione degli obiettivi e sul controllo dei risultati, senza la necessità della supervisione continua dei capi. Si tratta di un’esperienza di massa che sta cambiando la cultura organizzativa, il modo di funzionare delle imprese e la stessa concezione del posto e dell’orario di lavoro.
In terzo luogo anche le direzioni di impresa e i lavoratori che devono gestire e condurre impianti fisici in presenza e che non hanno fatto l’esperienza del lavoro a distanza, si sono convinti della necessità di procedere nella innovazione tecnologica a base digitale e nel cambiamento organizzativo a essa collegato. Questa convinzione è oggi ancora poco visibile, sottotraccia, ma a nostro avviso essa sarà fondamentale in futuro per sostenere con una nuova cultura diffusa il processo di innovazione e di cambiamento che riteniamo sia molto importante per il nostro futuro.
Ma l’eredità più positiva di questi mesi è certamente il cambio di paradigma con cui l’Europa sta affrontando i problemi del nostro Continente. Sembra di capire che l’Europa stia lentamente cambiando la concezione di se stessa: da area di libero scambio di merci, servizi e persone, con una moneta unica parziale, a una comunità di nazioni che iniziano a risolvere alcuni problemi più critici in modo coordinato. Infatti sta crescendo l’idea di affrontare con strumenti comuni, non solo di tipo finanziario ma anche di politica sociale e tecnologica, i problemi più gravi dei prossimi anni: come la ripresa economica post pandemia, gli impatti sociali, la questione ambientale e forse anche il rapporto con il resto del mondo.
*L’articolo è stato scritto da Luigi Campagna, Professore a Contratto di Sistemi Organizzativi al Politecnico di Milano, Partner della società META Governance & Innovation Studio, Luciano Pero, Adjunct Professor Mip – Politecnico di Milano, Partner della società META Governance & Innovation Studio, e Carlo Anelli, Responsabile del Dipartimento Nazionale Cisl per le politiche industriali, Coordinatore del laboratorio Cisl I4.0
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