Tre giorni al mese di Smart working e la produttività va su
Maggiore competitività, riduzione dei costi, aumento della produttività e della soddisfazione degli addetti. Lo Smart working può aiutare le imprese a ottenere questi risultati. È, infatti, una leva di innovazione organizzativa che consente alle aziende di affrontare con serenità, ma soprattutto con gli strumenti più avanzati ed efficaci, le sfide del futuro.
Ne sono convinte Arianna Visentini e Stefania Cazzarolli, fondatrici di Variazioni, società nata a Mantova nel 2009, che si occupa di work-life balance e Change management e che da tempo si occupa di progetti collegati allo Smart working.
Proprio a Mantova, di recente Variazioni ha presentato i risultati di una sperimentazione durata tre anni e che ha coinvolto 250 persone operanti in 21 imprese, piccole medie e grandi, che si sono riorganizzate scegliendo di utilizzare lo Smart working per un periodo di 36 mesi.
Un progetto supportato dal comitato imprenditoria femminile della Camera di Commercio di Mantova, guidato da Annick Mollard e realizzato grazie a una rete di imprenditori pubblici e privati attraverso un finanziamento di Regione Lombardia erogato attraverso l’Ats (Azienda territorio e salute) Val Padana, rappresentata da Salvatore Mannino.
Presente, tra gli altri, anche il Ministro per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti, che in sede di presentazione dei risultati della sperimentazione ha sottolineato come al termine “conciliazione” tra i tempi di lavoro e di vita preferisca utilizzare la parola “armonizzazione” tra vita e lavoro.
Lavoro che, in sintonia con il dettato costituzionale, ha sottolineato il Ministro, dovrebbe esprimere “il tempo che ciascuno mette a disposizione in termini di competenze, passione e intelligenza per il benessere spirituale e materiale della comunità”.
Risparmio economico e benefici ambientali
La sperimentazione sul lavoro agile, come illustrato da Stefania Petocchi di Variazioni, ha dato risultati sia sul versante economico sia su quello della soddisfazione personale dei lavoratori coinvolti.
In termini economici, l’utilizzo dello Smart working ha permesso un risparmio, in un anno e per ogni dipendente, di circa 1.300 euro (a fronte di minori spostamenti in auto e con mezzi pubblici di trasporto); 2.400 chilometri percorsi in meno rispetto alle abitudini; sette giorni guadagnati e 270 chili di anidride carbonica non immessi nell’aria, con un beneficio ambientale pari a quello realizzato piantando 18 alberi.
Numeri resi possibili grazie a un programma di lavoro agile che ha permesso ai dipendenti coinvolti (su base volontaria) di lavorare tre giorni al mese senza recarsi in ufficio, ma operando da casa o da qualsiasi luogo, producendo comunque quanto richiesto dalla propria azienda e organizzando e conciliando in modo autonomo i tempi di lavoro con quelli della famiglia.
I vantaggi ottenuti non sono solo quelli del lavoratore che, come si diceva, risparmia in termini economici, riducendo le spese di trasporto casa-lavoro ed eventualmente anche quelle di baby sitter che si occupano dei figli, ma anche per le aziende: la stima è di 513 euro l’anno per ogni smart worker, che consentono di diminuire i costi per le trasferte dei dipendenti e nel tempo stesso le imprese vedono aumentare la produttività dei singoli lavoratori (nel 95% dei casi) e delle ore lavorate. Dall’osservazione, infatti, è emerso che ogni 100 ore risparmiate, grazie alla diminuzione degli spostamenti casa-lavoro, 25 sono state spese in lavoro aggiuntivo.
Meno stress e più produttività
I risultati dell’indagine non devono, però, stupire, ha sottolineato Visentini: “È uno dei benefici della riduzione dello stress e del clima di fiducia che si instaura tra azienda e dipendente. Si tratta insomma di una svolta nell’approccio al lavoro: addio al vecchio cartellino da timbrare ogni mattina e largo alla valutazione dei dipendenti sulla base dei risultati effettivamente raggiunti; in questo modo si aprono spazi di maggiore collaborazione e condivisione degli obiettivi, che non sono in conflitto”.
Non a caso, secondo Visentini, lo Smart working accelera anche nell’Italia in cui produttività e innovazione tecnologica e organizzativa arrancano: nel 2019, secondo recenti ricerche, sono aumentati a 570mila gli smart worker e i progetti ad hoc sono stati avviati nel 58% delle grandi imprese. Grazie anche alla legge sul lavoro agile del 2017, che, però, si scontra molto spesso, nella realtà, con diffidenze di tipo culturale.
I maggiori ostacoli, secondo la fondatrice di Variazioni, spesso si incontrano ai piani alti delle aziende. “Gran parte del nostro lavoro dobbiamo dedicarla a convincere i manager che bisogna fidarsi dei lavoratori”, ha spiegato Visentini, che al tema ha dedicato un libro insieme con Cazzarolli (Smart working: mai più senza, Franco Angeli 2019).
“Il punto è di smettere di valutare i propri collaboratori sulla base delle ore trascorse in ufficio, bensì guardando agli obiettivi raggiunti, senza controllare dove passino ogni minuto. Chi l’ha detto che lavora di più e meglio chi trascorre più tempo in ufficio? Allora perché contare le ore anziché misurare l’efficienza? Non dovrebbe interessare il risultato più di tutto?”.
“Tutto questo richiede un salto notevole nella mentalità e per i manager spesso è difficile accettarlo, perché significa rimettere in discussione parametri consolidati e anche facili da applicare. Il criterio del cartellino timbrato è una comfort zone. Ma è inefficiente e crea un clima di sfiducia”.
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