Un calcio alla violenza
La violenza ha mille volti. E lo sforzo da fare è cercare di riconoscerli tutti.I dati del fenomeno sono rilevanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 35% delle donne in tutto il mondo subisce un abuso fisico o sessuale e, nel 30% dei casi, sono i partner ad essere responsabili di comportamenti violenti. Tradotto, sono le persone cui diamo fiducia a tradirci. Ci sono molti modi per far male a una donna: la violenza fisica lascia segni sulla pelle ma ci sono tante altre forme di violenza che non trafiggono il corpo ma spezzano l’anima. Le donne sono sempre più spesso attaccate sui social media, il revenge porn è un fenomeno in crescita: gettando la sfera più intima in pasto alla rete si scredita la donna agli occhi del mondo provocando una frattura identitaria difficilissima da sanare.
L’odio in rete è la nuova forma di violenza sulle donne e un’arma potentissima è il linguaggio. Anche le parole uccidono e un certo tipo di linguaggio, che trova larga diffusione nei media, non contribuisce a creare una cultura basata sul rispetto. Dal raptus di gelosia all’abbigliamento provocante, non si riesce ad eludere sotto traccia un pensiero che tende a giustificare un’azione criminale, in cui è paradossalmente la vittima a trovarsi sul banco degli imputati. I dati in merito agli stereotipi sui ruoli di genere diffusi dall’Istat sono allarmanti: il 39,3% della popolazione pensa che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se non lo vuole. Sottotesto: la donna può sottrarsi alle violenze e, se proprio non riesce, è comunque lei ad averla provocata. Se non fossero dati diramati dall’Istat ci sarebbe da non crederci, ma bene fare i conti con una realtà che, subdolamente, tende a isolare le donne, che spesso faticano a sottrarsi ad una situazione violenta perché prive di indipendenza economica. Il problema è che le donne partecipano poco alla vita pubblica, sono poco presenti nelle aziende, sono in poche a dirigere i giornali. Anche per questo si fatica a portare un cambio culturale che diffonda una nuova sensibilità, in cui il rispetto sia un codice di comportamento non derogabile.
La prima, e più grave violenza che le donne subiscono è il pay gap. Il divario salariale è una questione che non si risolve. Il World Economic Forum stima che gli uomini guadagneranno più delle donne per altri 202 anni. Insomma, la strada è ancora lunga e il divario salariale è una forma subdola di sottomissione. Le donne con più denaro a disposizione potrebbero acquistare più servizi per la gestione della famiglia, per esempio. Sappiamo che la conciliazione costa, e in Italia prevale la scelta di rinunciare allo stipendio minore che, nelle coppie, è quasi sempre quello della donna. Ed è così che alla nascita di un figlio scattano le dimissioni. I dati del 2018 ci parlano di oltre 25.000 donne che hanno scelto di rimanere a casa. Perché il lavoro delle donne vale di meno? Perché le donne non hanno le stesse opportunità?
Nello sport le differenze sono eclatanti. Lo sport femminile non è considerato professionistico, le atlete vengono pagate di meno e non hanno alcuna tutela. E se volessero diventare madri? Perché queste riflessioni non entrano nei dibattiti? Perché in Italia sono gli uomini che decidono. Lo afferma con convinzione l’allenatrice di calcio, dirigente sportiva ed ex calciatrice Carolina Morace nel corso di un dibattito che si è tenuto ieri a Milano. Le calciatrici sono guerriere che, oltre a vincere in campo, devono anche lottare per farsi spazio in un mondo maschile. Ma non sarebbe meglio per tutti convogliare queste potenti energie altrove?
Il problema è che bisogna fare presto e servono competenze, oltre che volontà. Per questo è auspicabile che sempre più donne si avvicinino alle discipline STEM. Ora che l’intelligenza artificiale è entrata nelle nostre vite non possiamo delegare agli uomini la scrittura degli algoritmi che la governano. Le possibilità di ridurre gli stereotipi diminuirebbero. E noi non possiamo consentire che le battaglie delle nostre giocatrici guerriere siano giocate invano. Giusto?
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