Un ricordo di Giorgio Galli, maestro gentile e intellettuale libero
Giorgio Galli se n’è andato nella sua Camogli il 27 dicembre 2020. Così questa volta non posso limitarmi a recensire il suo recente e bellissimo lavoro (uscito a novembre) L’anticapitalismo imperfetto (Kaos Edizioni, 2020). È l’ultimo prodotto di una straordinaria carriera di autore e di intellettuale iniziata nel 1953 con quell’edizioncina rossa della Storia del partito comunista italiano, che lessi da ragazzo e che mi feci autografare nel 2002, quando ebbi Giorgio ospite a cena per la prima volta: fu incuriosito dal fatto che io trattassi quel libro con tanta deferenza e mi disse che a sua memoria solo Carlo Tognoli (ex sindaco di Milano e leader socialista) ne conservava una prima edizione in modo analogo.
In quello stupore e in quel ricordo stanno due cose che di Giorgio ho tanto ammirato in questi anni: la sua immane modestia e la sua prodigiosa memoria. Basti dire che la dedica che mi scrisse consisteva in un suo ringraziamento a me per l’attenzione che gli regalavo! Ridendo gli risposi che per me era come se Bruce Springsteen avesse ringraziato un ammiratore per aver ascoltato un suo disco.
Poi, frequentandolo, ho capito che quell’umiltà era un tratto portante del suo confronto con la realtà. Giorgio nella realtà si tuffava, con una curiosità e con una voracità senza confini. E senza ego. Ha scritto decine di saggi, alcuni dei quali diventati dei veri e propri classici dell’analisi politica, economica e sociale della loro rispettiva epoca. Da Il bipartitismo imperfetto (1966), a Italia: Occidente mancato (1980), passando per la sua costante attenzione alla Cina (La tigre di carta e il drago scarlatto) e alle logiche del potere occulto (uno per tutti: Il caso Mattei).
Un intellettuale senza la paura di pensare
Negli ultimi anni i nostri colloqui vertevano principalmente su due temi: le nuove forme del capitalismo e dei suoi ‘agenti maggiori’, le grandi multinazionali; l’esproprio della sovranità democratica che questo potere sta progressivamente realizzando. Giorgio affrontava questi temi come sempre: in modo radicale e libero. Libero soprattutto da lenti ideologiche. Come disse lo psicanalista Wilfred Bion, il sapere può essere usato tanto per cercare la verità quanto per difendersi da essa. Giorgio usava il sapere come i condor usano le piume, con leggerezza e maestria per volare più in alto. E per vedere le cose da un più ampio e libero punto di vista. In 20 anni di frequentazioni non l’ho mai sentito imporre il suo sapere né agli altri né, cosa rara, a se stesso.
In questo sguardo ‘bambino’, eppure profondo, stava il suo grande dono. Dono che Giorgio seppe usare anche per frugare nell’ombra della civiltà occidentale. Uso la parola “ombra” di proposito, in senso junghiano. I suoi lavori sulle coincidenze significative, sull’esoterismo, sulle nuove culture (dall’Astrologia alla New Age), sulla magia e sul femminile sono stati pioneristici. E indigeribili dalla quasi totalità dei suoi colleghi accademici. Giorgio ha cercato per tutta la vita l’integrazione della via illuministica dell’analisi con l’accettazione di quanto di oscuro o misterioso si rivela nelle ombre, che inevitabilmente circondano ogni spazio di luce.
Giorgio non aveva paura di pensare. Anche quando il pensiero lo conduceva in luoghi impervi o scomodi o impopolari. Nella primavera 2020 abbiamo fatto una breve passeggiata e lui mi ha tenuto il braccio per camminare meglio. Quando parlavo con lui, mi sentivo così: sorretto con affetto dalla sua saggezza gentile. Che mi ha accompagnato per 20 anni e che mi mancherà più di ogni altra cosa. Giorgio non era straordinario solo per quel che sapeva o per quel che faceva. Ma, soprattutto, per quel che era. La sua fiducia nell’essere umano, nei giovani e nel nuovo gli faceva cercare sempre un esito potenzialmente positivo, evolutivo in ogni vicenda umana.
L’esempio umano e intellettuale di Giorgio ha ispirato, a volte in modo carsico, varie generazioni di allievi. È stato troppo originale, troppo poco autocelebrativo per ‘fare scuola’ in senso accademico. Ma penso abbia reso l’Italia un Paese migliore. Con il suo sapere, con la sua sete di verità sempre nuova e con il suo modo semplice e allegro, come le sue indimenticabili camicie a fiori.
Grazie Giorgio. Ti sia davvero lieve la terra.
Fabrizio D’Angelo è nato a Napoli nel 1972. Cresciuto a Milano, dove ha compiuto studi classici, si è poi laureato in Filosofia a Pisa, studiando presso la Scuola Normale Superiore. La sua carriera manageriale è iniziata in Germania nel 1997, presso la Verlagsgruppe Milchstrasse di Amburgo. Dopo tre anni in De Agostini, è diventato Direttore delle Attività Internazionali di Arnoldo Mondadori per il settore dei periodici.
Nel 2008 si è trasferito di nuovo in Germania, presso il gruppo Burda, dove è restato, in qualità di CEO di Burda International, fino al 2016.
Ha fondato e dirige dal 2009 una società di consulenza, la INTI Consulting. Si occupa prevalentemente di progetti di innovazione sociale e di sviluppo di business digitale.
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