Una nuova intelligenza organizzativa per l’era digitale
La teoria e la pratica dell’organizzazione devono affrontare oggi nuove sfide, che però le riportano paradossalmente ai grandi temi del proprio periodo fondativo. Nate nel tumultuoso contesto della prima metà del secolo XX, le opere fondamentali per la moderna scienza dell’organizzazione sono tutte segnate dalla drammaticità dei tempi che i loro autori hanno vissuto e aprono orizzonti di indagine e di riflessione molto più ampi della dimensione tecnica e strumentale. Oggi, probabilmente, sperimentiamo un’epoca di smarrimento altrettanto forte ed è per questo necessario dialogare e confrontarsi su questi temi, come accadrà a Milano il 24 e 25 ottobre in occasione del Forum di Sviluppo Organizzazione, evento promosso dall’omonima rivista edita da ESTE.
Riacquisire padronanza delle opere fondamentali è quindi fondamentale, ed è possibile farlo partendo dal modello idealtipico della burocrazia di Max Weber, considerato il concetto delle scienze sociali che ha avuto globalmente la maggiore influenza (Serensen e Torfing, 2024). L’affermarsi dell’autorità impersonale, razionale-legale, configura una tappa fondamentale per l’evoluzione sociale, nel senso della razionalizzazione. Comporta il superamento del dispotismo e del potere esercitato senza vincoli propri dei regimi tradizionali, ma configura anche un ‘disincanto del mondo’, una liberazione dalle credenze nell’azione di forze estranee alla comprensione e al calcolo a vantaggio dell’idea di poter governare con metodo ogni aspetto dell’azione sociale. La prospettiva di un progresso verso un’era contrassegnata da un ordine razionale porta ad accettare la necessità del disincanto, pur controbilanciata dal sottile sentimento pessimistico nel senso della disumanizzazione, insito nella metafora della ‘gabbia di ferro’.
La consapevolezza che le scelte nel campo dell’organizzazione e dell’organizzare abbiano rilevanti implicazioni di ordine politico-sociale si ritrova anche in altri personaggi, come Frederick Winslow Taylor e Henry Ford, la cui opera ha segnato in profondità la prassi organizzativa della grande industria. E dovremmo considerare in questo senso anche la penetrante intuizione di Mary Parker Follet (1925) sulla presenza endemica del conflitto nei luoghi di lavoro, che in sé non è positiva o negativa, ma costituisce “l’emergere della differenza nel mondo”; una visione in deciso contrasto con l’addomesticamento del tema da parte della pubblicistica manageriale dei nostri giorni (Contu, 2018).
Lavoro individuale o senso comune?
Ma è soprattutto nelle parole di Chester Barnard, dirigente industriale e al tempo stesso teorico della moderna organizzazione nel suo stato nascente, che troviamo una vivida coscienza di come, su questo terreno, siano in gioco scontri tra idee contrapposte che impattano sulla società e, soprattutto, sulla vita delle persone reali. Scrive Barnard nel 1938, in un’epoca storica di conflitti e caos incombente, in merito al valore della cooperazione tra persone: “Gli uomini rimangono ora costernati per le dimostrazioni di disorganizzazione mondiale. Tuttavia, l’attuale dubbio e scoraggiamento non vengono, mi sembra chiaro, solamente dalle perturbazioni economiche e dal conflitto internazionale. In molta maggior misura essi provengono da un profondo conflitto di idee riguardanti la cooperazione stessa. Ci sono due opinioni molto diverse, entrambe non solo in lotta reciproca ma anche in lotta contro limiti di cui non ci si rende conto. Una di esse si basa sulla libertà dell’individuo e la pone al centro dell’universo sociale. […] La seconda opinione […] pone l’accento sull’ordine, sulla possibilità di predizione, sulla coerenza, sulla efficacia di innumerevoli miriadi di atti concreti che sono cooperativamente determinati in sistemi”. Non c’è nulla di ideologico, o di intellettualistico, in questa posizione, che semplicemente registra l’esperienza vissuta: “Non l’ho incontrato come problema astratto senza rapporto con la vita quotidiana degli uomini, ma come un problema evidente nella rovina della cooperazione reale e nella disintegrazione morale di uomini e donne reali”.
In quei tempi altamente sfidanti, le scelte inerenti all’organizzazione del lavoro, soprattutto nell’ambito delle grandi strutture emergenti dell’industria e dell’amministrazione, hanno domandato risposte pragmatiche, di applicazione di intelligenza a problemi concreti di collaborazione, di intelligenza organizzativa, potremmo dire, come ancora ci possono suggerire gli scritti di Barnard: “L’ideale etico su cui si fonda la cooperazione richiede la diffusione generale di una volontà di subordinare l’interesse personale immediato sia all’interesse personale ultimo che al bene generale, insieme con una capacità di responsabilità individuale […] un’intelligenza che forse potremmo trarre dall’esperienza nella cooperazione piuttosto che da qualsiasi cosa che faccia pensare all’educazione formale. Ispirazione è necessaria per inculcare il senso dell’unità e creare ideali comuni. Occorre accettazione emotiva, più che intellettuale. Chiunque legga e osservi gli eventi del nostro tempo riconoscerà, mi sembra, la suprema importanza della fede negli ideali come indispensabile alla cooperazione”.
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