Valorizzare le persone nella crisi, l’HR punta sull’employability
La capacità di ottenere un lavoro e di mantenerlo, di cambiare ruolo all’interno della stessa organizzazione e di procurarsi nuove occasioni di lavoro nel tempo. È questa la declinazione di “employability” su cui hanno lavorato Elan, società specializzata in progetti di consulenza per lo sviluppo del capitale umano e organizzativo, e MaUnimib, la community interna all’Università degli Studi di Milano-Bicocca le cui attività mirano alla promozione e alla formazione di attori del cambiamento nelle imprese, nel non profit e nelle Pubbliche amministrazioni.
I due enti hanno sviluppato un framework e un modello di gestione per l’analisi delle politiche di employability all’interno delle imprese, al fine di realizzare una piattaforma di esperienze e di good practice di carattere evolutivo. “Abbiamo avuto l’idea di provare a pensare e proporre un laboratorio in cui le aziende possono confrontarsi sul tema dell’employability.
Abbiamo messo insieme la metodologia e la ricerca fatta dall’università con l’esperienza di Elan”, ha spiegato Simona Alini, BU Leadership Coaching Manager di Elan.
Da questa collaborazione è nato Employability cLab, il laboratorio dedicato alla misurazione e alla valutazione delle condizioni che favoriscono l’employability all’interno delle organizzazioni. Il laboratorio prevede la possibilità di partnership con le aziende interessate e che hanno in progetto di sviluppare un piano di employability.
Creare un indice per conoscere punti di forza e aree di miglioramento
Il progetto è stato sviluppato in tre fasi: prima un’attività di studio e ricerca per elaborare una metodologia e uno strumento per la valutazione dei contesti organizzativi in funzione della capacità di sviluppo dell’employability. “Abbiamo realizzato due survey: una per il personale della funzione HR, sulle politiche e pratiche in essere collegate all’employability; e una per un campione rappresentativo dei dipendenti, sulla loro percezione circa la propria employability e le condizioni di sviluppo in azienda”, ha raccontato Mattia Martini, ricercatore dell’Università di Milano-Bicocca.
“L’output è un Company employability index, che rileva i punti di forza e le aree di miglioramento, confronta la percezione dei dipendenti con le pratiche esistenti, offre approfondimenti rispetto ai singoli misuratori per definire action plan futuri e analizza eventuali differenze tra gruppi demografici-professionali differenti”.
In un secondo momento sono stati fatti alcuni test: la metodologia è stata applicata in due contesti aziendali, Txt e-Solution e Sanofi, allo scopo di validarne l’adeguatezza e l’efficacia nei diversi contesti organizzativi. Infine, dopo un anno di lavoro, ora il modello è pronto per essere applicato all’interno del club di aziende partner.
“L’idea è di dotare la direzione aziendale, a livello di HR, CFO e CEO, di uno strumento validato in sede accademica, in grado di verificare l’apertura e la propensione di un’organizzazione a mettere in atto l’employability, che può essere utilizzato per prendere decisioni”, ha aggiunto Alini. “L’investimento dell’azienda è contraccambiato dall’avere persone più proattive, in grado di essere delle risorse”.
I vantaggi dell’investire nell’employability per le aziende
A presentare la sperimentazione della metodologia all’interno dell’azienda Txt e-Solution è stato Francesco Cusaro, HR Group Director, che ha esordito spiegando come il concetto di employability possa essere interpretato come l’abilità di trovare un impiego, ma anche come l’abilità di impiegare, attrarre e trattenere talenti. “Il settore dell’ingegneria del software sta vivendo un momento di forte cambiamento delle competenze richieste dal mercato e le Risorse Umane non riescono a trovare candidati idonei con le nuove competenze di cui le imprese hanno bisogno”.
È proprio in questo tipo di situazioni che diventa evidente l’altra faccia della medaglia dell’employability: anche le aziende hanno bisogno di persone sempre più ‘impiegabili’, in primis per poterle collocare al meglio al proprio interno. “Investire sull’employability può aiutare le organizzazioni che faticano a trovare persone già ‘impiegabili’ e, dato il grande costo del turnover, può diventare anche uno strumento di retention, che fa sentire le persone soddisfatte e mostra che l’azienda investe su di loro”, ha sottolineato Cusaro.
Nel caso specifico, il progetto di employability è stato esteso solo ai dipendenti del settore Aerospace in Italia. I risultati delle due survey, alle Risorse Umane e ai dipendenti, erano in linea per quanto riguarda le chance occupazionali, e il supporto organizzativo è stato percepito dal 44% dei collaboratori. “Il percepito delle persone sulle attività di sviluppo, invece, era solo al 12%, molto basso rispetto alle attività che abbiamo svolto. Questo dato ci è stato utile per capire in cosa abbiamo sbagliato e cosa i dipendenti vorrebbero che facessimo maggiormente”, ha illustrato il Direttore HR di Txt e-Solution.
È emerso che i collaborati dell’azienda si aspettavano soprattutto una crescita professionale, un trampolino di lancio per la loro carriera. Tra i valori più alti infatti c’erano: maggiori opportunità di formazione (16%), aumento della retribuzione fissa (15%) e maggiori opportunità di sviluppo della carriera (12%). Tra i più bassi, invece, è stata indicata una maggior sicurezza contrattuale (1%).
L’employability come responsabilità sociale
Sanofi ha implementato il progetto employability nel suo stabilimento produttivo di Brindisi, dove lavorano circa 250 persone. “Abbiamo deciso di aderire alla sperimentazione come leva strategica di successo nel mercato farmaceutico, che cambia sempre di più, ma anche in ottica di responsabilità sociale nei confronti dei nostri dipendenti che vivono in un territorio dove non c’è molto turnover”, ha spiegato Daniela Boccuni, HR Industrial Affairs Bp Manager di Sanofi.
La survey è stata somministrata a 12 persone della funzione Risorse Umane e a 120 dipendenti scelti a campione. Partendo dai risultati, l’azienda ha deciso prima di consolidare i punti di forza individuati, organizzando momenti ed eventi per coinvolgere i dipendenti, farli sentire motivati e gratificati e sviluppare il senso di appartenenza all’organizzazione.
Il secondo passo è stato quello di migliorare i punti emersi come più deboli: la mobilità interna, la formazione e lo sviluppo. “Abbiamo strutturato un percorso formativo su learning agility, dinamiche relazionali e gestione dei conflitti. Poi abbiamo implementato un sistema di job rotation a tutti i livelli, dall’operatore al manager, chiedendo ai dipendenti di cambiare il loro ruolo per imparare un nuovo mestiere. Infine, abbiamo lavorato per migliorare la cultura organizzativa, mandando alcuni dipendenti nelle sedi europee affinché potessero mettersi in gioco in contesti diversi”.
All’inizio, l’implementazione della job rotation ha incontrato resistenza da parte delle persone; alla fine della sperimentazione, invece, veniva percepita come un’opportunità. “Siamo riusciti a rendere i dipendenti consapevoli della situazione e a motivarli a impegnarsi nell’employability. Questo era il nostro scopo e l’abbiamo raggiunto”, ha concluso Boccuni.