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Venice Soft Power Conference, il dialogo (non i social) salverà la democrazia

Già ponte tra culture (Occidente e Oriente), Venezia è da sempre un luogo di confronto, crocevia di popoli e luogo di valorizzazione della diversità. Non poteva esserci dunque una location migliore della Serenissima per la Venice Soft Power Conference, arrivata nel 2024 alla sua quinta edizione. Lo ha ribadito anche Antonio Tajani, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che ha parlato di Venezia come la città che “ha creato il soft power ante litteram”.

Gli ambienti della Fondazione Giorgio Cini, sull’Isola di San Giorgio Maggiore, dirimpetto a Piazza San Marco e al suo campanile, hanno ospitato l’incontro promosso dal Soft Power Club, l’associazione che riunisce un gruppo qualificato di personalità internazionali (esponenti delle istituzioni internazionali, della cultura, della scienza e del business) e che ha l’obiettivo di promuovere una visione contemporanea del soft power e del suo ruolo nel dialogo tra le nazioni e i popoli, a sostegno dello sviluppo umano. In questa edizione, si è discusso della capacità di influenzare gli altri senza mezzi coercitivi, tra comunicazione, propaganda e ostile disinformazione.

La conferenza si è svolta nella biblioteca Baldassare Longhena, altro luogo di contaminazione di idee, come ha spiegato Renata Codello, Segretario Generale della Fondazione Giorgio Cini: qui la ricerca umanistica contamina (e si fa contaminare) l’economia, la scienza e la tecnica, generando dialogo, innovazione e comprensione. Il confronto è avvenuto sotto i soffitti affrescati da Pietro Da Cortona (e dai suoi seguaci): in particolare Codello ha fatto osservare l’opera nella quale potere e conoscenza lottano tra loro, realizzata al tempo in cui Galileo Galilei insegnava all’Università di Padova.

Questo impegno rafforza le connessioni, aiuta la convivenza e permette di superare gli ostacoli per una pacifica convivenza”, ha dichiarato la Segretario Generale della Fondazione Giorgio Cini aprendo i lavori della conferenza. E per ribadire le azioni in questa direzione, è stata organizzata – proprio nei giorni dei lavori del Soft Power Club Club – l’esposizione Homo Faber, che riunisce oltre 800 opere di 70 artisti internazionali che mostrano come il dialogo ‘del fare e del pensare’ possa mettere fine a ogni tipo di confine.

Un nuovo ruolo mondiale per il soft power

A illustrare l’agenda della quinta Venice Soft Power Conference è stato Francesco Rutelli, Presidente e Fondatore del Soft Power Club e Presidente dell’Istituto dei Democratici europei (IED), che ha puntato l’attenzione su tre questioni cruciali e attuali: contrasto alla falsificazione e alle disinformazioni online distruttive; crisi climatiche con il coinvolgimento delle popolazioni, senza illudersi che funzionino le imposizioni dall’alto; ruolo del soft power dell’Italia a livello internazionale. Nel suo discorso, Rutelli ha ricordato come la parola “propaganda” – termine cardine del confronto veneziano – derivi dal latino “propaganda fide”, il dicastero vaticano fondato nel 1622 da Gregorio XV con lo scopo di centralizzare e coordinare l’attività missionaria cattolica nel mondo. Dunque una missione virtuosa, ma che può rivelarsi pericolosa: “Se la propaganda è eccessiva, non esiste la democrazia”, ha spiegato il Presidente del Soft Power Club, introducendo Joseph S. Nye, il politologo statunitense, decano della John F. Kennedy School of Government di Harvard e teorico del concetto di soft power, termine da lui coniato negli Anni 90 a seguito della fine dell’Unione sovietica.

Mai come oggi, infatti, c’è bisogno di riscoprire il valore del soft power e della capacità di influenza da parte della cultura, dei valori e delle istituzioni politiche, per opporsi all’hard power, strumento che si basa sulla forza militare ed economica e sempre più drammaticamente utilizzato: la guerra in Ucraina e quelle in Medio Oriente sono gli esempi più recenti. Proprio a questi eventi ha fatto riferimento Nye nel suo intervento (da remoto), spiegando che il soft power, contrariamente a chi lo dava per finito, gode di buona salute (se applicato). Il caso dell’Ucraina lo chiarisce: se la Russia ha fatto ampio uso della forza militare sul campo, il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha replicato con una strategia di soft power per invocare gli aiuti di vari Paesi del mondo che si sono poi trasformati in azioni di hard power (sono noti gli aiuti in armamenti ricevuti dall’Ucraina per contrastare le forze militari di Vladimir Putin). “L’incontro di Venezia dimostra che il soft power non è morto”, ha concluso Nye.

Non sempre però le parti in conflitto sono chiare. Nel suo intervento, Ettore Sequi, ex Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e attuale Presidente di Sorgenia, ha evidenziato che siamo nell’era della policrisi, cioè l’epoca della grande ambiguità, aspetto che scopre sempre di più il fianco alla questione della disinformazione. Di fake news e dei loro pericoli, ne ha fatto cenno anche Tajani nel discorso letto da Sequi, nel quale ha spiegato di averne parlato ad aprile nel corso del G7 che si è svolto a Capri e di aver firmato un protocollo con gli Usa contro la disinformazione che mina le istituzioni. “L’Italia è una super potenza culturale”, ha detto il Ministro, alludendo al nostro rinnovato ruolo nel rilanciare il soft power.

I social media mettono a rischio la democrazia

Chi punta tutto sul soft power è di certo il Costa Rica, uno dei pochi Stati al mondo a non avere un esercito (lo ha abolito nel 1948): “Se non ci affidiamo alla persuasione non violenta non possiamo fare nulla”, ha spiegato Rebeca Grynspan, Capo dell’Agenzia delle Nazioni unite che si occupa del commercio internazionale (Unictad) ed ex Vice Presidente del Costa Rica. Lei stessa è stata di recente protagonista di un’azione di soft power in grado di superare importanti ostacoli tra Ucraina e Russia: è grazie agli Accordi di Istanbul (luglio 2022) che si è arrivati al trasporto sicuro di grano e prodotti alimentari dai porti ucraini verso i mercati globali, di fatto salvaguardando la sicurezza alimentare del Pianeta. “È stata un’azione umanitaria in grado di andare oltre le questioni geopolitiche”, ha commentato Grynspan.

La diplomatica ha chiarito che ci sono sfide che richiedono sforzi collettivi e che per essere affrontate non hanno bisogno della coercizione: per esempio i cambiamenti climatici, le pandemie… Serve allora tornare al “potere della persuasione”, a patto che tutti siano disposti a farsi persuadere: “Vuol dire essere aperti a nuovi punti di vista; è questa la vera sfida del XXI secolo, che si caratterizza per essere l’era dell’eterogeneità culturale. Lo scambio di culture è linfa vitale”, ha detto Grynspan. Che ha poi parlato di come sia necessario “ritrovare la fiducia e la speranza” per promuovere un mondo più pacifico.

Alla base della pace, come sottolineato nel suo video intervento dal Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari Paolo Gentiloni, c’è la democrazia, che si basa sul potere della persuasione senza la coercizione. E il soft power è il suo alfiere, attraverso il logos (dialogo), il pathos (emozioni) e l’ethos (credibilità). Ma chi sperava che l’avvento dei social media avrebbero generato maggiore democrazia, facendo accedere tutti all’agorà digitale, si sbagliava: ciò che è evidente è l’estrema polarizzazione, che mette a rischio l’idea stessa di democrazia, anche a causa della disinformazione. Il rischio che le democrazie siano in pericolo esiste e la tecnologia può essere un boomerang, se non gestita. Per questo l’Unione europea ha da poco introdotto l’AI Act, per orientare lo sviluppo della nuova tecnologia, che tenga conto degli esseri umani, alla luce dei suoi potenziali effetti dirompenti.

La necessità dell’approccio umanistico alla tecnologia

L’Intelligenza Artificiale (AI) è di casa in India: non è un caso che oggi sia la quinta potenza economica mondiale, ma non è distante il momento in cui raggiungerà Germania e Giappone: gli esperti indicano il 2027 come data nella quale diventerà la terza potenza del mondo. Come ha riferito Amitabh Kant, Sherpa del G20 per il Presidente Narendra Modi e CEO del National institution for transforming India (Niti), il 50% di chi vive nel subcontinente indiano già utilizza l’AI Generativa e il 90% della popolazione è capace di spiegare che cos’è l’AI; inoltre ogni cittadino possiede un’identità digitale.

Per Kant ci sono tre questioni da affrontare: il soft power alla luce delle nuove crisi geopolitiche; la fine della globalizzazione e la nascita dei localismi, soprattutto a seguito del Covid; il ruolo della tecnologia. Proprio su questo punto, l’esperto si è concentrato, puntando il dito sulla crescita esponenziale di poche piattaforme in mano a pochi ‘controllori’, che però non riescono a stare al passo degli utenti, con la conseguenza che i social media allontanano dalla realtà, contribuendo alla polarizzazione degli schieramenti. La soluzione è l’approccio umanistico del soft power: ne è stato un esempio il G20 ospitato dall’India nel 2023 che ha consentito un ampio dialogo sulle conseguenze del Covid, della crisi climatica e dei prezzi delle materie prime (il tema era appunto “Vasudhaiva Kutumbakam” che significa “Un’unica Terra, un’unica famiglia, un unico futuro”).

Chi se ne intende di AI (e di tecnologia) è Alberto Tripi, Presidente di Almaviva e Consulente Speciale di Confindustria sull’AI. Per prima cosa è necessario sfatare il mito che l’Ue e l’Italia sono follower sui temi dell’AI e la sua azienda è un testimone attivo che ci siano numerose imprese non Usa capaci di proporre novità e innovazioni nel settore. Anche Lorenzo Galanti, Direttore Generale dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (Ice), intervenuto poco prima, ha ribadito i tanti investimenti messi in campo dall’Italia per rilanciare l’economia e contrastare un’immagine stereotipata che spesso ci viene cucita (ingiustamente) addosso. Tripi si è detto ottimista sul ruolo dell’Italia nel soft power, perché chi più del nostro Paese è in grado di gestire il caos e il cambiamento continuo? Infine, un invito a parlare di “software power”, visto che è “la tecnologia a far dialogare milioni di persone”.

Approfondire il lato oscuro della persuasione

Una delle voci più autorevoli sul tema del soft power è quella di Lord Charles Powell, per molti anni Segretario Privato e Consigliere per gli Affari Esteri e la Difesa di Margaret Thatcher, quando la Lady di Ferro era Primo Ministro. “Non si può essere contrari alla persuasione, perché è un principio umano”, ha esordito Powell, ricordando che nella sola lingua inglese ci sono ben 145 sinonimi del termine “persuasion”; per questo il soft power è meglio definito dal suo contrario, cioè l’uso della forza e della coercizione. Tuttavia, a suo giudizio come strumento diplomatico può essere usato anche per motivi non virtuosi (si torna alla “propaganda” con cui si è aperta la conferenza) e raramente può dirsi davvero ‘innocente’: “Il soft power è un lupo travestito da pecora”, è la sua tesi. In questo caso gli esempi riguardano il dialogo tra Usa e Urss e tra Washington e Pechino: “Sono stati possibili grazie alla comprensione del punto di vista dell’altro, ma entrambi si sono basati su aspetti che erano a vantaggio degli Usa”, ha chiarito Powell. Che in conclusione ha detto: “Non esiste la persuasione pura, perché c’è sempre la minaccia della forza”.

Ana Luiza Massot Thompson-Flores, Direttrice dell’Ufficio di Collegamento dell’Unesco a Ginevra, si è prima complimentata per il traguardo raggiunto dalla Soft Power Conference e poi ha ricordato come il 2024 sia l’anno della democrazia, con 4 miliardi di persone – circa la metà degli abitanti della Terra – chiamati a votare. “È l’anno di riferimento della democrazia ed è una grande opportunità”, ha spiegato. Tuttavia, è bene ricordare che sono ancora numerose le questioni irrisolte che meritano attenzione: disparità di genere, schiavismo, colonialismo, solo per citarne alcune che risentono ampiamente delle questioni legate all’informazione-disinformazione. Sul tema, l’Unesco ha lanciato alcune linee guida per l’accesso alle informazioni, ponendo attenzione al già citato strapotere delle piattaforme, in mano a poche e sempre più grandi big tech.

Le conclusioni sono state affidate a Fabio Cassese, Consigliere Diplomatico della Presidenza della Repubblica, al quale è stato richiesto da Rutelli di sintetizzare quanto emerso dalla prima giornata di incontri. Il diplomatico ha suggerito ai Governi di dotarsi degli strumenti per agire rispetto alle crisi legate alla disinformazione; ha proposto di tutelare soprattutto i più giovani, in quanto tra i più esposti alle false informazioni; e ha invitato a diffidare del pathos, sul quale si basa la disinformazione, invitando a riconoscere l’ethos. Infine ha invitato a usare un approccio che coinvolga tutti gli attori della società, spiegando di ‘dismonetizzare’ la disinformazione, al fine di disincentivarne la diffusione. Di soft power se ne parlerà ancora a lungo. Sempre che l’hard power non finisca per prendere il sopravvento.

geopolitica, Venice Soft Power Conference, Soft power, persuasione


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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

Dario Colombo


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