Vita da padre runner
Del fatto che ho iniziato a correre per dovere aziendale, l’ho già detto nel primo post di questo blog. Quello che non ho precisato è che sono diventato un runner a poco più di una settimana di distanza dalla nascita della mia primogenita Viola. Quindi è da circa quattro anni che sono alla ricerca di un equilibrio tra il ruolo di padre e quello di runner (nel mezzo ci metto anche quello di lavoratore!). Non che i due ruoli siano incompatibili, ma sono sicuramente in competizione rispetto all’impiego del tempo, variabile – per definizione – finita.
Le prime corse sono avvenute in un assetto familiare piuttosto comodo per fare sport: all’interno di una famiglia composta solo da due persone – indipendenti ed emancipate – non era difficile ritagliarmi spazi per correre. E così in settimana ero libero di allenarmi una volta tornato a casa dall’ufficio, posticipando, in qualche occasione, il tradizionale orario della cena; mentre nel weekend (tradizionale momento per gli allenamenti più lunghi) le uscite avvenivano quando ormai il sole era alto nel cielo e quando, pure nelle giornate invernali, il freddo dell’alba aveva lasciato il posto a un clima più tiepido.
Ma quell’equilibrio era destinato a essere presto rivoluzionato con il primo allargamento della famiglia. Per la verità, almeno durante i primi mesi di vita di Viola, non ho faticato a tutelare gli spazi dedicati alla corsa, messi in crisi quando ho iniziato a prendere confidenza con il ruolo di padre. Non che prima non ne avessi coscienza, ma ammetto che – nel mio caso – nei primi periodi da genitore, ero ancora pienamente padrone della gestione del tempo libero.
Diventato padre ‘attivo’ a tutti gli effetti, ho quindi dovuto individuare altri momenti utili per correre. E sono diventato un running commuter, senza sapere che nel mondo – in particolare quello anglosassone – la pratica è piuttosto diffusa. Per non sottrarre tempo alla famiglia avevo deciso di sfruttare il (lungo) tragitto casa-lavoro. Anzi, quello lavoro-casa. Così la mattina uscivo con tutto il necessario per l’allenamento; una volta terminata la giornata di lavoro, mi cambiavo e invece di utilizzare i mezzi pubblici, percorrevo di corsa i circa 12 chilometri che mi separano dall’ufficio. Ammetto che, a volte, correre mi permetteva addirittura di essere più veloce dei mezzi pubblici, spesso bloccati nel traffico di Milano. Sono cambiate anche le co(r)se nel weekend: se prima me la prendevo comoda, la ‘rivoluzione’ mi imponeva di uscire di casa prima che gli altri si fossero svegliati, per poi tornare a dare la sveglia a tutta la famiglia.
Dal tragitto lavoro-casa alle corse all’alba
Anche questo equilibrio, però, sarebbe durato poco. Quando Viola ha iniziato a frequentare l’asilo nido, ho dovuto trovare un’altra soluzione. Volendo accompagnarla a scuola almeno due mattine ogni settimana ed essendo per lei totalmente impossibile la sveglia prima delle 7.30 (che significa essere pronta per le 8 nei giorni più ‘fortunati’) era impossibile per me conciliare l’attività con l’essere in ufficio in orario, perché il tragitto con i mezzi pubblici dura circa un’ora (con la macchina pure di più!). Dunque ho acquistato un pratico scooter che mi mi ha permesso di guadagnare quei 30 minuti sul viaggio che posso dedicare Viola.
E la corsa? Non avendo più a disposizione il tragitto lavoro-casa – la comodità del nuovo mezzo di trasporto mi ha fatto presto desistere dal tornare a utilizzare i mezzi pubblici – ho individuato un altro momento utile per correre. In una ghiacciata mattina di inizio gennaio 2019 ho iniziato ad allenarmi all’alba: sveglia intorno alle 5.30 e partenza alle 6. Ammetto che sfidare il freddo non è stato agevole, ma avere un obiettivo concreto da raggiungere mi ha motivato per vincere anche le basse temperature. E così da circa un anno mi sono affiancato alla moltitudine degli albarunner.
Dopo qualche mese dalla nascita del secondo figlio, come già accaduto per la prima, è andato in crisi anche l’ultimo equilibrio famiglia-lavoro-corsa. Il problema è che se con Viola è stato semplice trovare una soluzione, con Matteo sono ancora alla ricerca di come risolvere il rebus, perché neppure la corsa all’alba è così semplice come in passato. Non di rado, infatti, le 6 del mattino sono l’ora del secondo biberon notturno di Matteo e mi capita di doverlo ‘allattare’ in tenuta da runner, bloccato dal suo pianto irrefrenabile che impone l’impossibilità di uscire di casa. Qualche volta Matteo si impietosisce e dopo aver mangiato ricade nel tipico sonno profondo delle prime ore del mattino; più spesso decide che ormai, già che s’è svegliato per mangiare, può rimanere sveglio. E dunque… addio corsa.
All’inizio avevo grandi difficoltà a gestire questa situazione, non volendo sempre fare affidamento a chi deve gestire Matteo tutto il giorno. Rinunciare all’allenamento per un runner non è semplice. A maggior ragione se si vuole correre la seconda maratona della propria carriera. Ma poi ho capito che, forse, per il momento devo riporre nel cassetto gli obiettivi sulla 42 chilometri: avrò tempo di correrla in futuro.
In realtà dopo la corsa all’alba avrei ancora un ultimo slot da giocarmi, che mi tengo in caso di necessità estrema: la pausa pranzo. Ma al momento la considero ancora un’alternativa e insisto a tentare di uscire alle 6 del mattino. Anche da queste scelte passa il ruolo di padre. E di runner.
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