Vivere a Oslo e lavorare in Italia: le altre Starbucks guidate in Smart working

Di recente ha suscitato interesse la scelta di Brian Niccol, il nuovo CEO di Starbucks, che ha preferito lavorare da remoto dalla sua residenza anziché dall’ufficio. Una decisione che, però, non è in contrasto con la politica aziendale che ha implementato un’organizzazione ibrida del lavoro, secondo la quale a tutti i dipendenti è richiesto di lavorare negli spazi aziendali solo tre giorni alla settimana. Al di là delle critiche al manager che ha comunicato di utilizzare un jet privato per spostarsi tra la sua casa in California e la sede centrale di Starbucks a Seattle, la scelta di guidare un’impresa a distanza non è una novità.

A marzo 2021 sulla rivista Persone&Conoscenze è stato pubblicato un articolo sulla storia di Luca Pagni, CEO di Cy.Pag. e autore del libro Un sogno tramandato (ESTE, 2022): l’imprenditore vive nella capitale norvegese dal 1999 e dopo 10 anni di sperienza in aziende IT, ha accettato di lavorare per l’azienda di famiglia a Morbegno, in Valtellina, senza alcuna intenzione di far rientro in Italia. Pagni è un convinto sostenitore delle riunioni in video, più puntuali di quelle in presenza, si è abituato alla flessibilità scandinava e a un ritmo duale, tra meeting online e una settimana al mese in sede. Nell’articolo che riproponiamo, dal titolo “Vivere a Oslo e fare impresa in Valtellina”, l’imprenditore spiega come si gestisce (bene) un’azienda a distanza.

L’esperienza di un imprenditore che lavora a (grande) distanza

L’ultimo trend, in realtà, ha quasi 50 anni. Nonostante lo si creda una ‘novità, che ha ottenuto ampia diffusione con la pandemia, il lavoro a distanza ha origine ben più vecchie. Già nel 1973, in occasione del primo grande choc petrolifero della storia, era nata l’esigenza di ridurre gli spostamenti. Lo scienziato statunitense Jack Nilles teorizzò così il telecommuting e poi il teleworking: l’idea, cioè, che il lavoro fosse indipendente dal luogo in cui veniva svolto.

Circa mezzo secolo dopo, il mondo sembra aver compreso l’intuizione di Nilles. Se fino al 2020 era guardato con riluttanza dalla maggior parte delle aziende, oggi, complice l’emergenza sanitaria, il lavoro a distanza è entrato nella quotidianità di milioni di persone. Anzi, è sempre più ricercato. Nonostante le più varie traduzioni – che lo si chiami “smart”, “home”, “remote” resta sempre un lavoro a distanza – durante il lockdown l’unico punto fermo era proprio il luogo di attività. “Work from home” lo avevano ribattezzato, non a caso, gli anglosassoni.

Adesso che non siamo più costretti a casa, è cambiata anche la parola d’ordine: “Work from anywhere”, ovvero lavorare da qualsiasi luogo. Da casa, da uno spazio di coworking, persino da una spiaggia assolata o da una baita in montagna. L’importante è che il lavoro venga portato a termine. Così come avviene già da tempo nella logica della collaborazione senza i vincoli della subordinazione.

Il lockdown prima e le misure di distanziamento sociale poi hanno convertito alla nuova modalità di lavoro anche gli imprenditori più scettici, preoccupati all’idea di perdere il controllo sui propri dipendenti. Eppure, c’è chi ormai da anni non solo lavora, ma è in grado di amministrare un’intera azienda anche a migliaia di chilometri di distanza. Per la precisione, 1.982. Tanti sono quelli che separano Oslo, in Norvegia, da Morbegno, cittadina in provincia di Sondrio nel cuore della Valtellina, dove ha sede Cy.Pag.

Dall’overworking ai ritmi più equilibrati della Norvegia

Luca Pagni, Chief Executive Officer della società di famiglia – uno tra i principali produttori al mondo di cilindri pneumatici per applicazioni industriali, dall’Automotive al Tessile passando per l’Agroalimentare – vive nella capitale norvegese dal 1999. Stanco dei ritmi frenetici di Milano, ha lasciato un posto di lavoro sicuro per timore di essere risucchiato nel vortice dell’overworking. Ha scelto così di trasferirsi nel Paese della moglie, in cerca di quel maggior equilibrio tra vita e lavoro, tipico del modello scandinavo: orari di entrata e uscita più flessibili, sei settimane di congedo paternità, fughe frequenti nella hytta, la tipica seconda casa al mare o in montagna, dove continuare a lavorare è possibile grazie all’ottima infrastruttura di rete del Paese.

Dopo 10 anni di esperienza in aziende IT, familiarizzando con una cultura improntata alla flessibilità di orario e di vita, ha accettato di tornare a lavorare per l’azienda di famiglia. Senza alcuna intenzione, però, di far rientro in Italia. “È stata una scelta lavorativa ben ponderata e discussa in famiglia”, racconta collegato dal suo ufficio norvegese. “Quando ho scelto di andare a lavorare con mio padre, tornare in Italia non era nei piani. Qui avevo già iniziato a sperimentare il mondo del lavoro da remoto, operando per aziende con uffici sparsi per il mondo. Ne ho persino aperta una: due sedi in Norvegia, a 2mila chilometri di distanza l’una dell’altra, e una a Shanghai”.

La distanza, insomma, era già da tempo un’abitudine per Pagni e le ore di volo non scoraggiavano questa inedita forma di ‘pendolarismo’. Prima dell’avvento della pandemia, il CEO di Cy.Pag. riusciva infatti a essere presente in azienda in Italia almeno una settimana lavorativa al mese. “Negli anni mi sono abituato a un ritmo duale: quando sono fuori dall’impresa, qui in Norvegia, devo potermi interfacciare con le persone attraverso le video conference; quando sono dentro l’azienda, in Italia, cerco di recuperare tutto quello che attraverso il video necessariamente si perde”.

I limiti del video e il linguaggio non verbale

D’altra parte è innegabile che gli esseri umani abbiano sempre bisogno di relazioni fisiche e non solo digitali. Qualcuno ha provato a leggere la comunicazione con i numeri: 55-38-7. Generazioni di consulenti e comunicatori hanno tramandato la serie numerica che si fa risalire agli studi sul linguaggio non verbale dello psicologo statunitense di origine armena Albert Mehrabian, secondo cui nelle comunicazioni interpersonali ciò che viene percepito dall’interlocutore dipende per il 55% dal linguaggio del corpo, per il 38% dal tono di voce e soltanto per il 7% dalle parole utilizzate.

Anche se lo stesso Mehrabian ha più tardi circoscritto la portata delle sue conclusioni ai soli messaggi aventi oggetto sentimenti e atteggiamenti, resta il fatto che in ogni comunicazione il modo di porsi gioca un ruolo almeno altrettanto importante rispetto al contenuto. “Ben più della metà di ciò che arriva non dipende da quello che dici, ma da come ti presenti. È per questo che in video si perde parecchio”, continua il Chief Executive Officer.

Del modo di relazionarsi con le persone in presenza giocano, in effetti, un ruolo non di poco conto anche alcune caratteristiche fisiche della persona, come la corporatura o l’altezza. Dall’alto dei suoi 187 centimetri, lo sa bene anche Pagni. La prestanza fisica, però, non traspare dallo schermo di un computer e ogni altra peculiarità – dalla statura alla gestualità – viene annullata. “Quando sono in Italia cerco di compensare andando in giro in azienda e tra gli uffici, mettendo in primo piano proprio la mia presenza fisica”, racconta.

Si dice che Sergio Marchionne abbia diretto Fca lavorando per gran parte del tempo dal sedile di un aereo. Farlo da un comodo ufficio a quasi 2mila chilometri di distanza non dev’essere tanto più difficile. “I vantaggi sono enormi: posso andare a lavorare in montagna e continuare a restare in contatto con i colleghi come se mi trovassi in ufficio. I tool oggi sono migliorati tantissimo, l’aspetto comunicativo non è cambiato di una virgola”.

Il confronto costante e l’allineamento del management

A essersi evoluto è forse l’approccio ai momenti di confronto. Dopo giornate intere davanti al Pc, nessuno ha voglia di perdere tempo con meeting lunghi e ripetitivi: le informazioni si concentrano in poche battute, gli orari di inizio e di fine degli incontri vengono rispettati e più difficilmente si rimandano le decisioni. Nessuna attesa per il caffè né distrazioni lungo i corridoi. Allenato da anni di riunioni norvegesi, improntate alla massima condivisione di ogni azione con il team, il CEO di Cy.Pag. non ha dimenticato il pragmatismo italiano: “Va bene condividere con tutti, ma alla fine qualcuno deve prendersi la responsabilità delle decisioni”.

Il Top management di Cy.Pag. si riunisce ogni due settimane, come avviene in qualsiasi altra azienda. L’unica differenza è una sala riunioni ‘allargata’ in modalità virtuale. Convinto sostenitore delle riunioni in video, più puntuali e disciplinate di quelle in presenza, anche Pagni ha sperimentato, però, alcuni limiti della distanza. Soprattutto quando si tratta di avvertire ciò che non funziona dentro l’organizzazione. “Gestire bene un’azienda è possibile se e solo se dall’altra parte c’è un Middle management culturalmente allineato. Vale anche quando si è fisicamente in azienda, ma la vicinanza permette di percepire subito eventuali problemi”.

A distanza, infatti, non è detto che si riesca ad avere un quadro esatto della situazione e può aumentare la difficoltà di introdurre novità e migliorie. “Avendo un rapporto virtuale, si fa molta più fatica a stare al fianco dei nuovi manager e a ‘plasmarli’ secondo la cultura aziendale”. Ecco perché, dopo il periodo emergenziale, in Cy.Pag. è stato ristabilito l’appuntamento settimanale one to one con i manager, per dedicare mezz’ora al report su obiettivi personali ed esigenze particolari del singolo. “È un tool di management che va al di là della distanza, una best practice che andrebbe sempre applicata”. Forse il ‘segreto’ è riuscire a creare un sentimento comune: Marchionne sarà pur sempre stato in viaggio, ma le sue persone ne percepivano sempre la presenza.

Trovare il giusto mix tra lavoro in presenza e da remoto

L’esempio del CEO ha finito, com’è naturale, per orientare anche i comportamenti dei dipendenti. I più giovani si sono mostrati da subito propensi a lavorare da remoto, ma anche i più restii ad accendere la webcam si sono adattati alle nuove abitudini. “La pandemia ha spinto aziende e nazioni intere a buttarsi e asperimentare di più queste modalità. Questo credo sia stato un elemento positivo”, riflette Pagni.

Superata l’equazione tra ufficio e lavoro, anche la cultura aziendale italiana ha imparato che si può lavorare bene con un giusto mix di presenza e attività da remoto. Senza eccessi in entrambe le direzioni. E cresce il numero di aziende che consente al personale di scegliere se tornare in ufficio a tempo pieno, continuare a lavorare da casa oppure optare per una combinazione dei due modelli. In Cy.Pag., in effetti, le due modalità di lavoro oggi corrono parallele. L’azienda incoraggia flessibilità di orario e di luogo tra i dipendenti, promuovendo lo Smart working del personale, con l’unica eccezione di coloro la cui presenza fisica è necessaria alla produzione.

Se Pagni è ormai abituato a contattare tutti i suoi collaboratori via webcam, il padre Adriano li convoca ancora nel suo ufficio prima di collegarsi con Oslo. E guai a fargli notare che basterebbe chiamare ciascuno al proprio Pc. “Nella nostra azienda convivono due modi di gestire le persone, ma non ce n’è uno migliore dell’altro: sono solo due modalità diverse”.

L’articolo originale è pubblicato sul numero di marzo 2021 di Persone&Conoscenze.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

Smart working, Cy.Pag, Luca Pagni, Starbucks

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