Welfare aziendale, oltre ai flexible benefit c’è di più
Siamo in un’epoca nella quale viviamo una rinnovata filosofia aziendale: la gestione dell’impresa oggi non può più ignorare le necessità delle proprie persone e deve tenere conto del suo impatto sul territorio e sulla società. In questo contesto, nel nuovo modello organizzativo, il salario non è più la sola e unica componente cui le persone fanno attenzione in ambito lavorativo. A emergere è sempre più un concetto esteso di benessere, in risposta a una spinta – quella derivata dalla pandemia – che ha rimesso al centro l’esperienza lavorativa nel pieno rispetto delle esigenze dei lavoratori e una maggiore tutela dei loro bisogni.
È in questo contesto che il ruolo del welfare aziendale è ora più di ieri una leva fondamentale per garantire la soddisfazione sul posto di lavoro. Infatti, esso si evolve per rispondere efficacemente ai cambiamenti, seguendo il mutare delle necessità delle persone, che hanno appunto subito una trasformazione in particolare a seguito della fase pandemica. In particolare, il ruolo del welfare è fondamentale nel favorire l’empowerment femminile, favorendo la conciliazione dei tempi vita-lavoro; rappresenta poi una leva di attrattività per i giovani, sempre più attenti ai benefit collegati ai ruoli e alle soluzioni di flessibilità come lo Smart working; promuove infine modelli organizzativi inclusivi e sostenibili, fino ad agevolare la mobilità (è l’ambito del Mobility management).
Il welfare è un elemento strategico della responsabilità sociale d’impresa
La conferma di come sia cambiato il welfare, è arrivata dai dati dell’Osservatorio sul welfare aziendale 2022, il periodico appuntamento di monitoraggio, confronto e analisi sul suo andamento in Italia, realizzato da Edenred Italia, azienda attiva nel settore degli employee benefit che propone soluzioni di welfare con lo scopo di innovare il mondo del lavoro. Dallo studio è infatti emersa la conferma dei flexible benefit come elemento strutturale del welfare, con un incremento di circa cinque punti percentuali sul 2020, attestandosi al 64% delle quote di consumo dei dipendenti. Inoltre, è confermato l’aumento del credito welfare con l’avanzare dell’età: la fascia tra i 40 e i 59 anni (31%) risulta quella maggiormente interessata a queste soluzioni. Rispetto al genere, le donne, pur registrando una presenza significativamente inferiore agli uomini, sono beneficiarie di erogazioni di 910 euro (contro gli 830 euro degli uomini). Da evidenziare è anche l’andamento dei fringe benefit: nel 2021 hanno rappresentato il 34% dei consumi di welfare. Infine, in crescita è il trend della sostenibilità: il 12,5% delle imprese ha attivato misure di mobilità sostenibile e il 37,5% sta valutando di farlo.
“Non ci occupiamo di welfare perché è ‘di moda’, ma perché è un elemento strategico per la responsabilità sociale d’impresa e perché riflette due asset strategici del mondo aziendale: le persone e la sostenibilità”, ha affermato Fabrizio Ruggiero, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Edenred Italia, durante il Welfare Forum 2022 di Edenred, l’evento dedicato al welfare aziendale che si è tenuto a Milano a metà maggio 2022 e durante il quale sono stati presentati i risultati dell’Osservatorio sul welfare aziendale 2022.
Che il welfare non possa essere una moda, soprattutto quando al centro delle organizzazioni ci sono le persone con le proprie esigenze, lo ha confermato anche Paola Blundo, Direttrice Corporate Welfare di Edenred Italia: “Non si può improvvisare nel welfare; la parola chiave in questi tempi è proprio ‘benessere’: il welfare risponde alle organizzazioni che credono nel creare spazi di lavoro sereni e rispettosi, promuovendo anche pratiche di diminuzione delle disparità”.
Il welfare favorisce la riduzione delle disuguaglianze di genere
A proposito di disparità, è noto che, negli ultimi anni, il ruolo delle donne è stato impattato notevolmente: le lavoratrici sono state costrette a bilanciare in maniera nuova lavoro e vita privata, (dal momento in cui svolgono per la maggior parte delle faccende domestiche: durante il lockdown si sono occupate della casa circa l’83% delle donne, contro il 43% degli uomini). Secondo uno studio della società di consulenza The European House – Ambrosetti, durante la crisi pandemica in Italia è stata registrata la perdita di 456mila posti di lavoro; in particolare, per le donne la diminuzione è stata del 2,5%, mentre per gli uomini si è fermata all’1,5%. È aumentato inoltre il numero delle persone inattive; 443mila in più, con un impatto maggiore sulla popolazione femminile (il 3,7% delle donne contro il 2,6% degli uomini).
Ma come può il welfare sostenere l’empowerment femminile? “In relazione alla media del credito welfare pro capite tra generi, le donne sembrano essere più attente a un tasso di conversione in maniera più alta”, ha spiegato Blundo. In questo ambito, ci sono già stati interventi che migliorano il divario salariale tra uomo e donna. La Legge 162/2021 fa leva sul tema del gender pay gap, pur non riguardando in senso proprio la parità retributiva, ma introducendo disposizioni volte a ‘correggere’ i comportamenti nell’ambito del mercato del lavoro e modificando il Codice delle pari opportunità. Le modifiche normative attinenti la nozione di discriminazione, sia diretta sia indiretta, sono di immediata applicazione, a differenza di quelle riguardanti il rapporto sulla situazione del personale (art. 46) e sulla certificazione della parità retributiva (art. 46-bis) subordinate alla emanazione dei decreti attuativi.
In questo modo, le aziende hanno possibilità di interrogarsi su situazioni divergenti, come il gender pay gap. Secondo il rapporto di genere realizzato da AlmaLaurea, a cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono in media il 20% in più di retribuzione: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro. Il welfare può supportare queste iniziative, come per esempio, garantire la flessibilità sull’orario o del rapporto di lavoro per esigenze di cura. “Le aziende che riescono a colmare il divario sono anche quelle che avranno una maggiore competitività sul mercato”, è la tesi di Blundo.
I giovani sono più attenti ai comportamenti responsabili
Il welfare rappresenta anche una leva di attrattività per i giovani, soprattutto in un contesto in cui si diffonde il noto fenomeno della Great resignation. “Le persone abbandonano il posto di lavoro anche nelle fasce in cui si possono sviluppare efficacemente molte competenze”, è il pensiero di Blundo. È così che poi si fa fatica a colmare il replacement, perché il turnover risulta molto alto. “Il welfare è uno strumento in grado di attrarre i talenti e trattenere le risorse migliori”.
I giovani, oggi, sono non solo più sicuri di se stessi (e quindi non temono di non trovare lavoro, se lasciano il precedente), ma sono anche più esigenti. “Prima era impensabile lasciare il posto fisso; ora, invece, non esiste più la questione. Inoltre, mentre prima i capi autorevoli erano tollerati, oggi non è più così”, ha spiegato Stefania Rausa, Direttrice Marketing e Comunicazione di Edenred Italia. I giovani, poi, non valutano solo il pacchetto di condizioni economiche soddisfacenti. “Valutano anche l’ambiente aziendale e, per esempio, la possibilità di fare Smart working”, ha riferito Blundo.
Oltre a questo, le nuove generazioni sono sempre più attente ai comportamenti responsabili in termini di sostenibilità delle aziende e stanno trasferendo un messaggio che sembra essere urgente: il futuro è legato alla consapevolezza dei propri comportamenti. Da un sondaggio di Ipsos corporate reputation, condotto in 28 Paesi, è emerso che il miglioramento della società rappresenta per i cittadini la priorità di cui le aziende dovrebbero occuparsi. “È così che le imprese possono intervenire con una maggiore presa di coscienza, agevolando lo spostamento tra casa e lavoro, offrendo, per esempio, soluzioni di Smart working e creando modelli organizzativi inclusivi. Il welfare si arricchisce anche di queste componenti”, ha continuato la manager.
Del resto, secondo la proposta di Direttiva sul reporting di sostenibilità, le aziende devono comunicare in maniera sostenibile redigendo il bilancio di rendicontazione non finanziaria. In questo documento le aziende devono raccontare attività e iniziative messe in atto in linea con le aree salute e benessere (Obiettivo 3), istruzione di qualità (4), parità di genere (5), lavoro dignitoso e crescita economica (8), lotta contro il cambiamento climatico (13) dell’Agenda 2030 dell’Onu. “Abbiamo voluto ricondurre il welfare agli indicatori di sostenibilità lavorando in sinergia con Strategy innovation, uno spinoff dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, così che le nostre soluzioni possono essere rendicontate nel bilancio”, ha puntualizzato Rausa. Il welfare dunque si adatta ai bisogni delle persone – e del Pianeta – che cambiano, ai nuovi stili di vita e alle nuove esigenze, in ottica di prospettive future sostenibili.
Laureata magistrale in Comunicazione, Informazione, editoria, classe di laurea in Informazione e sistemi editoriali, Federica Biffi ha seguito corsi di storytelling, scrittura, narrazione. È appassionata di cinema e si interessa a tematiche riguardanti la sostenibilità, l’uguaglianza, l’inclusion e la diversity, anche in ambito digital e social, contribuendo a contenuti in siti web.
Ha lavorato nell’ambito della comunicazione e collabora con la casa editrice ESTE come editor e redattrice.
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