Zuckerberg colpisce ancora
Giovedì 16 febbraio 2017, Mark Zuckerberg ha pubblicato su Facebook un lungo post dal titolo “Building global community”. Più che il discorso dell’unione di un Capo di Stato, è stata l’enciclica, la lettera pastorale del Papa di un Chiesa universale. Nel testo, la parola “infrastructure” appare alla quinta riga, e poi altre 24 volte. “In tempi come questi, la cosa più importante che noi di Facebook possiamo fare è sviluppare l’infrastruttura sociale per dare alle persone il potere di costruire una comunità globale che funzioni per tutti noi”.
L’infrastracture è definita con impegnativi aggettivi: “social”, “meaningful”, “global”. Altrettanto impegnativi gli aggettivi usati per definire le community nelle quali gli esseri umani meriterebbero di vivere: “supportive”, “safe”, “informed”, “civically-engaged”, “inclusive”. Alla fine, salutando i lettori con il solo nome e senza cognome, come un vero Papa, Zuckerberg ha ringraziato: “Thank you for being part of this community“. Possiamo anche leggere: Thank you for… il vostro vivere dentro Facebook, The infrastructure.
Zuckerberg, reso delirante dal potere, rivolgendosi a ogni essere umano e quasi arrogandosi il diritto di parlare a nome di ognuno di noi, chiama a partecipare alla costruzione dell’infrastructure, “il mondo che vogliamo per le generazioni che verranno”. Fingendo di dimenticare che Facebook è piattaforma già costruita, alla cui costruzione nessuno di noi può partecipare: è un luogo dove il cittadino è ridotto a utente.
La possibilità offerta a ognuno, di caricare su Facebook i propri materiali non è, come potrebbe apparire a prima vista, un’apertura alla partecipazione e alla condivisione dei saperi. Il knowledge di cui ogni essere umano è autore è ridotto a content, cosa che è costretta dentro, rinchiusa, forzata nei confini di una infrastructure già costruita. E in base a regole opache – e in ogni caso imposte d’autorità – Zuckerberg ha deciso che quel knowledge non è più dell’essere umano che l’ha prodotto, ma suo. Come anche la storia di vita del cittadino: ogni gesto, ogni parola diviene un dato che Zuck userà come gli pare.
La nuova terra promessa del metaverso
Facebook instupidisce, ma non tutto è perduto se i cittadini reagiscono ancora e mostrano segni di disaffezione per il social e per le mirabolanti promesse di nuova democrazia di Zuckerberg. Ma ecco che allora, all’inizio dell’estate 2021, il fondatore di Facebook, vista la mala parata, ha rincarato la dose, lanciando il progetto del metaverse: la nuova terra promessa, un mondo virtuale, una realtà aumentata dove sarà possibile “sperimentare un senso di presenza molto più forte” di quello offerto da social network e piattaforme. Un mondo “più naturale” e “più confortevole”.
“Quello che mi entusiasma è aiutare le persone a sperimentare un senso di presenza molto più forte” di quello offerto oggi da social network e piattaforme. “Le interazioni che avremo saranno molto più ricche”. In futuro, invece di limitarti a telefonarmi, “potrai sederti come ologramma sul mio divano e sembrerà davvero di nello stesso posto, insieme, anche se ci si trova in stati diversi o a centinaia di chilometri di distanza”.
La novità è stata ufficialmente sancita il 28 ottobre 2021 in una nuova lettera enciclica, rivolta al popolo del pianeta dal ‘sovrano illuminato’. Ora Zuckerberg non offre solo spazi di libertà, luoghi di incontro mediati dalla scrittura e dalla lettura dei poveri post di Facebook e di WhatsApp, delle immagini e dai video di Instagram. Ora offre, molto modestamente, un nuovo mondo e una nuova vita.
“Nel metaverso sarai in grado di fare quasi tutto ciò che puoi immaginare: stare insieme ad amici e familiari, lavorare, imparare, giocare, fare acquisti, creare, nonché vivere esperienze completamente nuove; sarai in grado di teletrasportarti istantaneamente come un ologramma per essere in ufficio senza fare il pendolare, a un concerto o nel soggiorno dei tuoi genitori; sarai in grado di dedicare più tempo a ciò che conta per te, ridurre il tempo nel traffico e ridurre la tua impronta di carbonio”. E ha aggiunto: “Non costruiamo servizi per fare soldi; facciamo soldi per costruire servizi migliori“. Come ogni narciso prigioniero del proprio ego, qui ha citato se stesso: ci ha ricordato che aveva pronunciato questa frase nel 2012, invitando gli investitori a comprare azioni Facebook. Ora invita a investire in meta.
La forza di Zuckerberg sono i suoi seguaci
Non so se qualcuno riuscirà a fermare Zuckerberg. Ma vedo un problema. Nel 2017 si era diffusa la voce che il fondatore di Facebook si preparasse a candidarsi, nel 2020, come Presidente degli Stati Uniti. Non era vero; non ne aveva bisogno. Ci sono motivi per sostenere che il suo potere asimmetrico di padrone di piattaforme sulle quali i cittadini del pianeta sono costretti a vivere è più grande del potere del Presidente Usa.
Il problema è che conosco diversi esperti, profeti della Digital transformation, Innovation Manager, Business Designer, Business Futurist: loro considerano davvero Zuckeberg il Presidente, la guida che apre la strada. La sua forza sta in questi seguaci, che con lui in questi giorni si leccano i baffi pensando ai nuovi guadagni che potranno conseguire attraverso una gabbia imposta ai cittadini: un falso mondo, ben più pericoloso di Facebook.
Francesco Varanini è Direttore e fondatore della rivista Persone&Conoscenze, edita dalla casa editrice ESTE. Ha lavorato per quattro anni in America Latina come antropologo. Quindi per quasi 15 anni presso una grande azienda, dove ha ricoperto posizioni di responsabilità nell’area del Personale, dell’Organizzazione, dell’Information Technology e del Marketing. Successivamente è stato co-fondatore e amministratore delegato del settimanale Internazionale.
Da oltre 20 anni è consulente e formatore, si occupa in particolar modo di cambiamento culturale e tecnologico. Ha insegnato per 12 anni presso il corso di laurea in Informatica Umanistica dell’Università di Pisa e ha tenuto cicli di seminari presso l’Università di Udine.
Tra i suoi libri, ricordiamo: Romanzi per i manager, Il Principe di Condé (Edizioni ESTE), Macchine per pensare.
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